GEOLOGIA DELL'AMBIENTE: in ricordo di Gioacchino Lena

2021-12-13 09:20:25 By : Ms. Alian Wang

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Il 12 dicembre 2020 è prematuramente scomparso Gioacchino Lena, ex vicepresidente di SIGEA e coordinatore dell'Area Tematica della Geoarcheologia, membro del Consiglio Scientifico e membro della redazione della rivista "Geologia dell'Ambiente"

Il numero 1/2021 della rivista Geologia dell'Ambiente è un numero speciale dedicato ad un amico fedele e sincero, che non potrà più offrirci il suo sorriso genuino.

Questo numero della rivista trimestrale Sigea è disponibile in versione integrale:

https://www.sigeaweb.it/documenti/gda/gda-1-2021.pdf

Nino Bone Davide Mastroianni Francesco De Pascale Carmine Nigro Fabio Demasi Luigi De Luca SIGEA Calabria Gioacchino Lena Paolo Graceffa

Geologia dell'Ambiente 1/2021 Periodico trimestrale di SIGEA ISSN 1591-5352 Società Italiana di Geologia Ambientale Poste Italiane Spa - Spedizioni con abbonamento postale - DL 353/2003 (convertito in Legge 27/02/2004 n° 46) art. 1 comma 1 - DCB Roma

Il 12 dicembre 2020 è prematuramente scomparso Gioacchino Lena, ex vicepresidente SIGEA e coordinatore dell'Area Tematica della Geoarcheologia, membro del Consiglio Scientifico e membro della redazione della rivista "Geologia dell'Ambiente". Socio dal 1993, per il suo grande impegno nei confronti di questa Associazione e delle sue problematiche, ha ricevuto a fine agosto 2020 il premio SIGEA per "Tutela della qualità dell'ambiente naturale e antropizzato e gestione responsabile del territorio e le sue risorse". Docente, ricercatore, geologo e geoarcheologo, da oltre quarant'anni svolge attività di ricerca e divulgazione culturale e scientifica, catturando l'attenzione e la stima di tutte le generazioni che ha incontrato. Siciliano di nascita ma calabrese di adozione, ha lavorato in Calabria, Sicilia, Lazio, Toscana, Veneto ma anche in Francia, Marocco, Tunisia. Autore di numerosi studi e ricerche in geologia, geomorfologia, cartografia, storia e geoarcheologia, ai quali ha fornito notevoli contributi di divulgazione, pubblicati su importanti riviste italiane e internazionali, nei più disparati convegni ed eventi. Iscritto all'Ordine dei Geologi della Calabria dal 1976 con n. 49, di cui è stato membro di diverse commissioni, è stato condirettore della rivista “Stratigrafie del Paesaggio”, presidente dell'Istituto di Studi Storici di Cosenza, presidente regionale dell'AIIG (Associazione Italiana Insegnanti di Geografia). Era stato da poco pubblicato il suo ultimo lavoro, Viaggio geoarcheologico in Calabria, ultimo saluto e regalo, da poliedrico studioso, alla sua Calabria e ai suoi amici. Ha curato, insieme ad altri partner, tutti gli eventi di geoarcheologia organizzati da SIGEA, compreso l'ultimo “Le vie della comunicazione nell'antichità”.

Anche questo, di prossima pubblicazione, non potrà vederlo. Chi era Gioacchino?

Per chi, come me, lo conosceva bene, questa è la definizione più appropriata. Ma un uomo che legge non è solo un uomo che sa. È un uomo che pensa, che ha progetti. E Gioacchino, sotto questo aspetto, non si è mai fermato, anzi. Uno spirito giovane, una mente in continua attività, coinvolgente, eclettica, dinamica: un piccolo top. Mille idee, mille progetti, mille lavori da realizzare contemporaneamente, con passione e senza limiti. Ma anche un uomo sorridente, disponibile all'ascolto, attento a chiunque chiedesse ulteriori informazioni, capace di raccontare le argomentazioni con un entusiasmo che ha coinvolto e ammaliato tutti. La ricerca scientifica è stata il progresso della sua vita, quello che ha sempre voluto fare e quello che ha sempre fatto. Attaccato alla famiglia e alle amicizie sincere, ha sempre goduto del conforto di persone che gli avevano stima e affetto e che ha pienamente ricambiato. Poche volte abbiamo affrontato l'aldilà. Forse, per chi ha fatto della verità scientifica uno stile di vita, è strano confrontarsi con i dogmi della fede e dell'imponderabile. Ma sono certo che da lassù ci guiderai ancora con il tuo bel sorriso e la voglia di continuare nella diffusione della conoscenza. Gaetano Osso Presidente SIGEA Calabria

Società Italiana di Geologia Ambientale Associazione nazionale per la tutela dell'ambiente riconosciuta dal Ministero dell'ambiente, tutela del territorio e del mare con DM 24/5/2007 e successivi DM 11/10/2017 PRESIDENTE Antonello Fiore DIRETTIVA NAZIONALE CONSIGLIO Lorenzo Cadrobbi , Franco D'Anastasio ( Segretario), Daria Duranti (Tesoriere), Ilaria Falconi, Antonello Fiore (Presidente), Sara Frumento, Fabio Garbin, Enrico Gennari, Giuseppe Gisotti (Presidente Onorario), Gioacchino Lena (✝), Luciano Masciocco, Michele Orifici (Vicepresidente) , Vincenzo Ottaviani (Vicepresidente), Paola Pino d'Astore, Livia Soliani Geologia dell'Ambiente Periodico trimestrale di SIGEA N. 1/2021 Anno XXIX • Gennaio-Marzo 2021 Iscritta all'Albo Nazionale della Stampa n. 06352 Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 229 del 31 maggio 1994 AMMINISTRATORE RESPONSABILE Giuseppe Gisotti VICE DIRETTORE RESPONSABILE Eugenio Di Loreto COMITATO SCIENTIFICO Mario Bentivenga, Aldino Bondesan, Giovanni Bruno, Francesco Cancellieri, Maria Di Nezza, Massimiliano Fazzini, Giuseppe Gisotti, Giancarlo Guado, Gioacchino Lena (✝), Endro Martini , Luciano Masciocco, Davide Mastroianni, Mario Parise, Giacomo Prosser, Giuseppe Spilotro, Vito Uricchio, Luca Valensise EDITORIAL COMMITTEE Fatima Alagna, Giorgio Boccalaro, Giorgio Cardinali, Valeria De Gennaro, Eugenio Di Loreto, Sara Frumento, Fabio Garbin, Michele Orifici, Vincent Ottaviani, Laura Pala, Maurizio Scardella EDITORIALE Sigea c/o Fidaf - Via Livenza, 6 00198 Roma tel. 06 5943344 info@sigeaweb.it PROCEDURA PER L'ACCETTAZIONE DEGLI ARTICOLI Le opere presentate alla rivista dell'Associazione, dopo aver verificato la loro attinenza con i temi di interesse della Rivista, saranno sottoposte al giudizio di uno o più referenti dell'UFFICIO GRAFICA Pino Zarbo (Fralerighe Book Farm) www.fralerighe.it PUBBLICITA' Sigea STAMPA Industria grafica Sagraf Srl, Capurso (BA) La quota di iscrizione a SIGEA per il 2021 è di € 30 e dà diritto a ricevere la rivista “Geologia dell'Ambiente”. Per maggiori informazioni visita il sito www.sigeaweb.it Sommario Editoriale Antonello Fiore 2 Geositi e geomorfositi E i geoarcheositi Gioacchino Lena (✝), Davide Mastroianni 3 Vecchie cave di argilla e relative fornaci a Fornaci di Barga (LU) Mara Dell 'Aringa, Massinissa Ramacciotti 16 Rissëu, i tipici mosaici di ciottoli del levante ligure: significato storico, sociale e geologico Marco Del Soldato 20 I paesaggi “invisibili” dipinti Beni geo-artistici da valorizzare a fini geoturistici all'interno del geoparco delle Madonie (Sicilia, Italia) Roberto Franco 24 Il geosito "Travertino della Cava Cappuccini" Alcamo (TP) Girolamo Culmone, Manuela Cottone 31 ATTI DEL SEMINARIO NAZIONALE ANALISI E ATTIVITÀ DI MITIGAZIONE DEI PROCESSI Geologia dei l'Ambiente GEO-IDROLOGICO IN ITALIA Supplemento al n. 1/2021 ISSN 1591-5352 A CURA DI Periodico trimestrale della SIGEA Società Italiana di Geologia Ambientale ROMMAA 249-2N5OMVAGEGMIOB2R0E192019 ATTI DEL CONVEGNO ITINERARI DELLA COMUNICAZIONE NELL'ANTICHITA' GIOACCHINO LENA, EUGENIO DI LORETO E GIUSEPLO GUS atti del convegno il supplemento digitale vie di comunicazione nell'antichità di Gioacchino Lena, Eugenio Di Loreto, Giuseppe Gisotti e Carlo Rosa. Roma, 24 e 25 maggio 2019, Sala Conferenze Parco Regionale dell'Appia Antica. Scaricabile dal sito www.sigeaweb.it/supplementi.html In copertina: Il torrente Mallero trae origine dai ghiacciai del Monte Disgrazia e dal Passo del Muretto a quota 2.600 m slm. Località Chiareggio, in Valmalenco, in provincia di Sondrio. La Valmalenco è caratterizzata da un'abbondanza di materiali litoidi che vengono esportati in tutto il mondo (talco, serpentino, pietra ollare). Sono inoltre presenti fenomeni geologici legati ad un'intensa attività di frana, alluvioni e valanghe che sono favoriti dall'instabilità dei versanti. (Ph. Eugenio Di Loreto) Poste Italiane Spa - Spedizioni con abbonamento postale - DL 353/2003 (convertito in Legge 27/02/2004 n° 46) art. 1 comma 1 - DCB Roma

Editoriale L'anno appena trascorso è stato anche per la nostra associazione un anno speciale; un anno diverso che ha sconvolto i nostri programmi, spinti verso una ristrutturazione nella gestione delle nostre attività e nell'organizzazione degli eventi, costretti a modificare i rapporti di collaborazione ea contenere i rapporti umani diretti. Il 2020 è iniziato con grande emozione e orgoglio per la nostra associazione: il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha insignito il nostro Presidente Onorario, Giuseppe Gisotti, dell'onorificenza di “Comandante dell'Ordine al Merito della Repubblica Italiana”. Questo riconoscimento personale di Giuseppe Gisotti, fondatore e animatore d'eccellenza della nostra associazione, deve essere per tutti noi uno stimolo per continuare a svolgere il ruolo di promotori della diffusione della cultura geologica nell'interesse del Paese.Siamo riusciti ad organizzare la terza e la quarta giornata del ciclo di eventi dedicati a “Geologia e Storia” in presenza per poi concludere il ciclo con il quinto e il sesto a distanza.Queste giornate, i cui atti sono online, sono state organizzate in collaborazione con il Dipartimento per il Servizio Geologico d'Italia - ISPRA e il Società Geografica Italiana Considerato il grande successo riscosso dalla serie di incontri, abbiamo deciso di partecipare all'organizzazione della seconda edizione di queste giornate, che p inizieranno presumibilmente in primavera. In questa edizione verranno trattati i temi delle variazioni climatiche nelle ere geologiche e nei periodi storici; le città fantasma: città fantasma tra storia e geologia; geomitologia: leggende, tradizioni popolari e miti; grandi aree urbane: cenni di archeologia, storia e geologia; i grandi fenomeni naturali che hanno cambiato la storia; mari, coste e infrastrutture marittime: evoluzione geologica e tradizioni storiche. Siamo riusciti ad organizzare l'ultimo evento a Napoli dedicato alla bonifica dei siti inquinati, durante il quale è stato ricordato il compianto Franco Ortolani. Questi temi sono stati ripresi con eventi online, organizzati in collaborazione con RemTech e l'Ordine dei Geologi di Sicilia e dedicati ai siti nazionali siciliani: Gela, Priolo e Biancavilla. Nel corso del 2021 stiamo organizzando eventi in altre regioni sullo stesso tema e abbiamo avviato contatti per una nuova edizione di un numero speciale della nostra rivista dedicato alla bonifica dei siti contaminati. Abbiamo mantenuto l'attenzione sul tema della prevenzione sismica organizzando un evento dedicato al 100° anniversario del terremoto della Garfagnana e un evento dedicato al 40° anniversario del tragico e devastante terremoto in Irpinia. In ottobre siamo riusciti a presentare a Roma il volume dedicato al dissesto geo-idrologico con Roberto Morassut, Sottosegretario di Stato con deleghe politiche in materia di dissesto idrogeologico e consumo di suolo; in quella circostanza abbiamo ripreso ad organizzare, non appena la situazione sanitaria lo consentirà, eventi itineranti nelle varie regioni italiane. In definitiva abbiamo cercato di portare avanti però, con l'impegno di tutti, i temi che caratterizzano la nostra partnership senza evitare di condividere nuovi temi come la crisi climatica e lo sviluppo sostenibile a cui abbiamo dedicato nuove aree tematiche. L'anno si è concluso con una triste notizia che ha ferito il nostro senso di comunità, la scomparsa del nostro amico e socio Gioacchino Lena a cui abbiamo deciso di dedicare questo numero.

Troverete in questo numero un ricordo, un suo articolo, il suo libro appena uscito Antonello Fiore Presidente Sigea E-mail: Presidente@sigeaweb.it e il supplemento digitale agli atti dell'ultimo convegno che ha contribuito a organizzare: "Le vie della comunicazione nell'antichità”. Ricorre quest'anno il 700° anniversario della morte di Dante Alighieri e abbiamo deciso di celebrarlo a modo nostro, associando temi di grande interesse culturale a quelli della promozione delle Scienze della Terra e della tutela dell'ambiente. In questo siamo stati accolti dal lavoro del nostro amico e compagno Roberto Franco che nel 2017 ha pubblicato il libro Geologia nella Divina Commedia. Come per Leonardo da Vinci nel 2019, anche per Dante Alighieri dedicheremo eventi per confrontarci con esperti e conoscitori del settore e portarli a riflettere con noi sui grandi temi della geodiversità e dei pericoli geologici. Nella convinzione che presto tutto tornerà ad una "diversa normalità" e dopo un anno passato nell'incertezza sanitaria, economica e sociale, come Sigea abbiamo la voglia di riprogrammare le nostre attività cercando di valorizzare al meglio i soci che compongono i gruppi e le sezioni regionali. Crediamo fortemente nelle azioni organizzate dai gruppi regionali e nella possibilità di creare azioni sempre più fondamentali condivise e partecipate, con le azioni di sensibilizzazione dei media locali e nazionali, per promuovere la cultura geologica. Sono state recentemente costituite quattro nuove sezioni regionali: Abruzzo, Calabria, Marche e Liguria e altri gruppi regionali si stanno organizzando per diventare Sezioni; a loro i migliori auguri di buon lavoro e buona comunicazione dal Consiglio Direttivo Nazionale.

Geositi e geomorfositi. E i geoarcheositi? Geositi” o geomorfositi. E i georcheositi? Parole chiave: geosito, geomorfosito, geoarcheositi. : oppure, se di interesse internazionale, nazionale, regionale o locale. Prendiamo, ad esempio, il caso della Calabria. Colina di Vrica, alla periferia sud di Crotone, è un geosito a carattere internazionale (Fig. 1). Si tratta, in letteratura Figura 1. La collina di Vrica, alla periferia sud di Crotone, è un geosito di importanza geologica internazionale, lo stratotipo calabrese, il periodo con cui inizia l'ultima era geologica, il Quaternario (o Antropozoico). Un geosito a carattere nazionale è sicuramente la frana di Maierato, in provincia di Vibo Valentia, che ha avuto enorme risonanza a causa di un video trasmesso la sera stessa da varie televisioni che mostrava un improvviso e rapido crollo di un enorme corpo di frana di circa 2,5 km lungo. L'evento si è svolto il 15 febbraio 2010, intorno alle 14.30, e si trova ad ovest del paese di Maierato, lungo il pendio compreso tra le località Mosto, Giardino e Draga. 5 giorni dopo vi fu un ulteriore arretramento di circa 80 metri con la formazione di una nicchia di stacco più arretrata lunga circa 200 m. I filmati disponibili mostrano che il crollo è avvenuto in circa 10 minuti con successivi ritiri del pendio (Fig. 2). Gli stessi filmati mostrano come l'ammasso roccioso abbia avuto un movimento simile a quello di un fluido viscoso con rottura completa dei blocchi rocciosi. Il corpo di frana è costituito essenzialmente da frammenti di calcare evaporitico di piccole dimensioni con inclusioni di livelli sabbiosi e argillosi (Figg. 3 e 4). Il termine geosito, introdotto nel 1990 da William Wimbledon, definisce "qualsiasi località o territorio in cui sia possibile definire un interesse geologico-geomorfologico per la conservazione". Inizialmente il termine utilizzato era quello di “geotopo”, successivamente abbandonato, ma ancora conservato nei paesi di lingua tedesca e affini (Germania e Nord Europa). Con questo termine si intende “un'unità spaziale minima, geograficamente omogenea (paesaggio o parti di paesaggio con caratteri relativamente uniformi)”. Essendo spazialmente limitati, ben distinguibili e con caratteri e processi geologici e morfologici definiti, hanno la stessa connotazione del termine biotopo in biologia. William Wimbledon afferma che lo scopo della definizione di un geosito non è solo quello di conservare le "meraviglie della natura", ma di "riconoscere e proteggere un sistema di testimonianze organiche e organizzate della storia della terra e della vita su di essa. , così com'è espresso in varie regioni del globo per caratterizzarne le origini e la sua evoluzione”. Un sito diventa geosito quando rappresenta la "memoria geologica" di una regione. È quindi testimonianza diretta del passato di un territorio ed è un bene non rinnovabile in quanto, una volta distrutto, non è più riproducibile; nei suoi confronti va attuata una concreta politica di tutela, gestione e valorizzazione (Zarlenga, 1996; Massoli Novelli, 1998; Brancucci, Burlando, 2001). A seguito della definizione del concetto di geosito, ad esso si è sovrapposto il concetto di geomorfosito, definito nelle sue caratteristiche essenziali da Mario Panizza (Panizza, 2001) e, successivamente, quello di sito geoarcheologico (Lena, 2009). Vari studiosi italiani (oltre che stranieri) sono entrati nel dibattito, ritenendo che tutti i geositi, da quelli molto rari e di valore internazionale a quelli comuni ma importanti a livello locale, siano da considerarsi dei veri e propri beni culturali. Qualsiasi bene geologico diventa patrimonio comune dell'umanità e, quindi, bene culturale solo quando la sua conoscenza è condivisa e l'oggetto può essere utilizzato, altrimenti rimane solo un manufatto, una parte insignificante di un catalogo (Piacente, 2003). Sin dalla sua nascita, SIGEA ha contribuito molto a diffondere il concetto di geosito e ad identificarne molti.

Lo ha fatto organizzando nel 1995 il primo convegno insieme al Servizio Geologico Italiano (gli Atti sono stati pubblicati nelle Memorie) e successivamente i due convegni nazionali di Sasso di Castalda (PZ) nel 2011 e 2018, nonché il convegno nazionale sulla i geoarcheositi di Aidone. (EN) nel 2014 e quella di Portopalo (SR) nel 2016. In SIGEA è stata avviata anche l'Area Tematica “Patrimonio Geologico”, alla quale aderiscono numerosi studiosi italiani.

Affinché un luogo possa essere qualificato come “geosito” è tuttavia necessario che esso rispetti una serie di criteri risultanti dalla mediazione tra quelli adottati a livello europeo da ProGEO e quelli adottati nelle più recenti iniziative di catalogazione regionale italiana. I criteri sono i seguenti: a) rappresentatività; b) interesse scientifico; c) rarità; d) importanza paesaggistica; e) valore educativo; f) accessibilità; g) stato di conservazione; h) vulnerabilità. Sulla base di ciò è stato predisposto un censimento dei geositi italiani che prevede: 1. la ricognizione dei dati in campo mediante il modulo di censimento; 2. verifica delle informazioni contenute nel modulo di indagine; 3. la realizzazione, gestione e aggiornamento dell'archivio dei geositi;

4. la valutazione-validazione delle geosi segnalate. Nell'utilizzo della scheda di geosito un elemento fondamentale è rappresentato dalla definizione del tipo di interesse che esso Geologia dell'Ambiente • n. 1/2021

Figura 2. La frana di Maierato Figura 3. La composizione litologica delle frane è data da calcareniti in frammenti minuti, sabbie e argille Figura 4. Particolare delle frane Geologia dell'ambiente • n. 1/2021 "La Calabria è priva di laghi naturali" affermavano i geografi del passato. Eppure sui monti sopra Fagnano Castello (CS) si trovano una serie di laghetti; il più grande, il Lago dei Due Uomini, sfiora i 2 ettari. Sono piccoli laghi dalla forma tondeggiante (il Lago dei Due Uomini è perfettamente circolare) e, a volte, durante la stagione estiva, del tutto privi d'acqua. La loro formazione non è attribuibile al carsismo (il substrato è interamente composto da rocce metamorfiche) né all'azione glaciale (l'altitudine in cui si trovano è troppo bassa), nonostante sulle sue sponde sia stato scoperto da alcuni decenni fa un importante anfibio, il tritone alpino (Triturus alpestris inexpectatus), residuo climatico dell'ultima glaciazione. Diverse sono le ipotesi scientificamente plausibili: una formulata da Alessandro Guerricchio (Guerrichio, 1985), secondo la quale questi laghi riempiono le pieghe con un enorme scivolo gravitazionale, mentre la forma circolare è dovuta al movimento vorticoso dell'acqua; il secondo è quello formulato da Antonio Pipino (Pipino, 1983) secondo il quale si tratta di bacini di erosione fluviale o fluviale-periglaciale attivati ​​su un gradino di faglia formato da suoli metamorfici di origine sedimentaria; il terzo presuppone che siano assimilati a foibe, ipotesi però da verificare. Per la sua rarità in tutta la Calabria, questo geosito è un geosito di interesse regionale (Fig. 5). Tra i tanti geositi di interesse provinciale e locale si segnala la piccola valle riempita dal corallo Cladocora coespitosa sotto la cosiddetta “Galleria del Ginnasio” a Praia a Mare (CS). La valle ha una perfetta forma a “V” e sembra indicare la presenza di una rete idrografica diretta a SO contraria a quella odierna con direzione EW. La sua formazione è di età imprecisata, ma precede una delle calde pulsazioni del Tirreno. Successivamente, durante la fase climatica temperato-calda, la valle è stata sommersa dall'avanzare del mare che ha lasciato una ricca fauna di coralli (Cladocora coespitosa), vari gasteropodi e litodomi i cui fori si trovano sia nei massi di riempimento dell'incisione della valle è sulle sue pareti esterne (negli ultimi 100.000 anni si sono verificate diverse fasi climatiche calde intervallate da fasi climatiche altrettanto fredde. Quella attuale, ad esempio, appartiene ad una fase complessivamente calda). L'intero complesso è ricoperto da fessure del pendio probabilmente appartenenti all'ultima tappa fredda del Wurm.

Figura 5. Il lago dei Due uomini Wimbledon (Wimbledon, 2010), durante la Conferenza Internazionale sul Patrimonio Geologico organizzata da Sigea a Bari, ha elaborato una guida per la selezione dei geositi secondo la quale: 1. tutti i siti candidati devono essere conservabili ; 2. siti simili devono essere ridotti al minimo; 3. sviluppare e applicare i criteri di selezione in modo che vengano selezionati solo i siti “migliori”; 4. avviare la produzione e pubblicazione dei risultati ottenuti attraverso rilievi, bibliografia, ecc., diffondendoli il più ampiamente possibile per facilitarne la conservazione. GEOMORFOSITI Il termine “geomorfositi” è stato introdotto da Panizza nel 2001 (Panizza, 2001; Brancucci, 2004) e codificato a livello internazionale dalla conferenza di Parigi del 2009 dal titolo “geomorfositi”. Con questo termine si indica un'area le cui caratteristiche geomorfologiche hanno acquisito un valore scientifico, culturale/storico, estetico o sociale/economico. Le forme e gli elementi individuali sono geomorfositi, come una dolina carsica, o aree più grandi che includono una varietà di aspetti geomorfologici. I geomorfositi devono essere considerati elementi importanti nella pianificazione territoriale e nella tutela ambientale di una determinata area, e sono costitutivi del cosiddetto patrimonio geologico di un territorio. In Italia sono molte e non è possibile, visti i limiti di spazio, fare un esame di ognuna di esse per cui si fa riferimento a pubblicazioni specializzate. Uno degli esempi più significativi si trova in Abruzzo, nel comune di Atri (TE). L'area dei Calanchi di Atri è compresa tra il settore nord-orientale dell'Appennino Abruzzese e la zona costiera tra i comuni di Pineto (TE) e Città S. Angelo (PE). I fenomeni geomorfologici sono pertinenti a fattori quali la litologia, le caratteristiche strutturali delle formazioni dei calanchi, i fenomeni antropici ei cambiamenti climatici. L'area dei calanchi si è strutturata nel Pliocene inferiore attraverso la sovrapposizione stratigrafica, per mezzo di frane, di tre unità che, a loro volta, si sono scomposte, per effetto di altre colate, in unità stratigrafico-strutturali più piccole. L'unità più grande è costituita dalla zona più interna della Laga, quella intermedia nel comune di Cellino Attanasio e quella più esterna, Figura 6. Teste di corallo Cladocora coespitosa sui detriti che riempiono il sito della valle, importante per altri motivi , che qui non vale la pena discutere, può avere un carattere essenzialmente locale (Fig. 6). In definitiva, i problemi posti dai geositi si riducono a: a) definizione del termine che deve essere chiaro, univoco, uguale in tutte le regioni del globo e in tutte le lingue; b) geodiversità; c) il loro censimento e attribuzione ad un interesse locale, provinciale, regionale, nazionale, internazionale chiaramente riconoscibile e riconosciuto da tutto e non un'attribuzione personale del geometra quindi, a sua volta, del tutto soggettiva; d) tutela del geosito individuato e sua conservazione attraverso eventuali strumenti legislativi nazionali, ovvero “geoconservazione”; e) interiorizzazione del termine geosito tra le popolazioni locali che devono conoscerne l'importanza e la necessità di conservazione, amarlo (anche in virtù dei riscontri economici che il turismo colto e non volgare può portare) e proteggerlo da tutti i possibili assalti non esclusi i danni da turismo; f) seria considerazione degli aspetti gestionali, poiché la conservazione dei siti geologici è essenziale per le generazioni future; g) tutti i siti candidati devono essere conservabili; h) i siti simili devono essere ridotti al minimo; i) sviluppare e applicare i criteri di selezione in modo che vengano selezionati solo i siti “migliori”; j) avviare la produzione e pubblicazione dei risultati ottenuti attraverso rilievi, bibliografia, ecc., diffondendoli il più ampiamente possibile per facilitarne la conservazione. Geologia ambientale • n. 1/202

Figura 7. I calanchi di Atri (TE) verso la costa, nel comune di Mutignano (Fig. 7). La struttura dei calanchi è l'effetto di una serie di eventi deformativi che, dopo un sollevamento e una rototraslazione in direzione est, hanno condizionato la formazione di un edificio di spinta (Calamita, Deiana, 1986). La superficie ha andamento monoclinico, con stratificazione di supporto verso nord e frana verso sud. Andando nell'ordine, lo sviluppo della tettonica compressiva nel Pliocene inferiore e, successivamente, della tettonica distensiva nel Pliocene medio-superiore, hanno determinato la decomposizione e il sollevamento della struttura precedentemente formata (Calamita et alii, 1990). Le numerose faglie trasversali ed oblique, che caratterizzano l'area dei Calanchi di Atri, hanno differenziato il sistema in blocchi a cedimento differenziato con movimento prevalentemente verticale. Ciò ha determinato l'evoluzione geologica e geomorfologica nel Pliocene-Pleistocene superiore (Dramis, 1992). L'attuale attività tettonica sembrerebbe caratterizzata da movimenti attivi di natura compressiva di origine profonda (Calamita, Irvenizzi 1991). Le varie faglie trasversali e oblique hanno suddiviso il bacino periadriatico in numerosi settori a subsidenza differenziata, portando in posizione più elevata la porzione centrale dell'area dei calanchi, o settore di Atri. La formazione della Laga: è costituita da torbiditi silicoclastiche che si sono formate durante il Messiniano, in un bacino di avanfossa; all'interno della formazione sono stati individuati tre distinti membri: pre-evaporitico, evaporitico e post-evaporitico. I sedimenti Geologia dell'Ambiente • n. 1/2021 depositi arenacei massicci sono presenti nel membro inferiore, depositi arenacei in quello intermedio e depositi pelitico-arenacei in quello superiore (Centamore et alii 1990; 1992; 1993). Formazione del Cellino: costituita quasi interamente da torbiditi silicoclastiche depositate, durante il Pliocene inferiore, in un'avanfossa più esterna. All'interno della formazione sono stati individuati tre distinti membri: il primo basale, arenaceo, il secondo intermedio composto da depositi arenacei-peltici e il terzo, quello superiore, formato da depositi arenacei. I calanchi del Cellino si estendono oltre l'attuale linea di costa ei crinali più importanti sono quelli di Bellante-Cellino Attanasio e Campomare-Montesilvano (Centamore et alii 1990; 1993). La formazione di Mutignano: è caratterizzata da diversi orizzonti stratigrafici: depositi sabbioso-conglomerati di ambiente neritico alla base, peliti di piattaforma nella zona intermedia e sabbie e conglomerati di ambiente marino di transizione continentale, leggermente digradanti verso est-nord-est nella zona superiore. Dal punto di vista geomorfologico, la fascia pedemontana è caratterizzata, scendendo verso la costa adriatica, da una costante e graduale riduzione dell'energia di pertinenza. La fascia interna presenta invece notevoli incisioni vallivi con forti pendenze. I fianchi interni delle valli sono molto ripidi. La fascia esterna è contraddistinta da un crinale che separa il Fosso Del Gallo e il torrente omonimo dal torrente Piomba e da estesi tabulati subpiani, sui quali si trovano vari insediamenti moderni. Si possono distinguere due grandi aree per quanto riguarda i fenomeni geomorfologici che caratterizzano l'area: il settore alta collina e quello collinare. La prima coincide con le formazioni Laga e Cellino, mentre la seconda corrisponde alla formazione Mutignano. I GEOARCHEOSITI Da alcuni anni i ricercatori delle discipline scientifiche hanno rivolto la loro attenzione ei loro interessi anche verso settori legati a problematiche della sfera storica, artistica e sociale. L'adeguamento ad una nuova filosofia culturale di integrazione tra discipline scientifiche e discipline umanistiche rappresenta un importante campo preferenziale e stimolante che possiamo individuare nei rapporti tra beni culturali di tipo archeologico, storico-architettonico, il contesto paesaggistico in cui è inserito, e, in particolare, tra essa e le Scienze della Terra. I geoarcheositi possono essere definiti come “siti di elevato interesse ambientale, antropico, storico, archeologico e paesaggistico in cui le componenti geologiche e antropiche sono le componenti fondamentali e hanno la stessa importanza” (Lena, 2009). L'esempio più importante è il Serapeo di Pozzuoli, in realtà il macellum della città romana di Puteoli. Nel libro di base di Sir Charles Lyell Principi di geologia (il primo volume è stato pubblicato nel 1830), un'immagine delle colonne forma la prima pagina del volume (Fig. 8). Le colonne Figura 8. Frontespizio del libro Principles of Geology di Sir Charles Lyell (1830)

che definiscono il perimetro esterno mostrano di aver subito fenomeni di allagamento e sommersione. Quest'ultimo è evidenziato da una fascia, larga 2,70 m, perforata da fori litodomici a partire da 3,60 m dalla base. Dalla colonna stratigrafica dei depositi di rinterro, si evince che negli ultimi 2000 anni si sono verificati episodi di deposito marino e l'attività di deposito sembra essersi verificata tra l'XI e il XII secolo. Un periodo di continentalità deriva anche dai cosiddetti granai, dal Serapeo e dal Tempio di Mercurio. Gli “strati di crollo” (ad esempio le colonne del Serapeo) testimoniano un'intensa sismicità che è sempre accompagnata dall'inversione dell'affondamento. L'ultima e più intensa sommersione avvenne tra l'inizio del XIV secolo. e la fine del XV; forse risale al 1538. Solo all'inizio dell'Ottocento si hanno testimonianze di una fase discendente del moto bradisismo. Nel 1820 il 2° piano del Serapeo era al livello del mare, nel 1890 era a +2,05 e nel 1948 a +2,28 m. Questa situazione perdurò fino al 1968-69, ma nel 1970 il terreno mostrò evidenti segni di notevole sollevamento, tanto che nel 1982-84 si raggiunse la quota di 3,82 m. Una leggera fase discendente si registra nuovamente all'inizio del 1985 e continua ancora oggi. Il pavimento del Serapeo si trova attualmente a poche decine di cm sopra il livello del mare (Russo, 2003). Altro sito geoarcheologico di grande importanza è l'isolotto di Basiluzzo, nell'arcipelago delle Eolie, di fronte alla più famosa e abitata Panarea (Fig. 10). Disabitato per alcuni secoli, in passato fu intensamente coltivato da popolazioni delle isole vicine, ora emigrate altrove. Il Cavaliere Deodato de Dolomieu (al quale si deve il nome dolomia) che lo visitò nel 1781, scrisse che “si coltiva sul pendio esterno, ma non è abitato”. Negli anni '60 è stato il set di numerosi film; il più famoso dei quali è “L'Avventura” di Michelangelo Antonioni. Insieme alle isole vicine (Spinazzola, Dattilo, Lisca Bianca, Bottaro, Lisca Nera). Panarea costituisce la parte emersa di corpi vulcanici morfologicamente separati tra loro ma tutti poggianti su un basamento pianeggiante, che oggi si trova ad un'altitudine media di 130 m sotto il livello del mare. La costituzione geologica rivela che l'isola rappresenta una grande cupola endogena riolitica emersa durante la fase Figura 9. Le colonne del Serapeo. Ad una certa altezza è visibile la striscia più scura lasciata dai fori dei litodomi continentali: (Fig. 9). L'intera area nord del Golfo di Napoli mostra simili situazioni di crollo ed emersione: dal centro storico di Pozzuoli (i granai) a Capo Miseno (Tempio di Ercole), a Baia, alla stessa Napoli nell'antica villa imperiale, detta "la casa degli spiriti" che ha l'intero primo piano sommerso dal mare. Tutte queste strutture archeologiche interessate dalla sommersione hanno un'età compresa tra il I secolo a.C. e il I secolo d.C. mondo romano. A questa fase seguì, tra la fine del V e il VII secolo, una fase di emersione testimoniata da uno strato di occupazione antropica presso Capo Miseno. Solo con la fine del VII secolo dC il suolo puteolano crollò completamente. La città bassa di Pozzuoli e l'intera baia furono completamente sommerse e tale immersione doveva durare per tutto l'VIII e IX secolo. Seguì un lungo periodo di continentalità; alle Terme Miseno, le sabbie marine sono seguite da detriti continentali e da un paleosol con i resti di una fornace medievale, la cui antecedente tra il 1302, data dell'eruzione del Monte Epomeo ad Ischia e il 1488, data del disastroso terremoto con epicentro a Pozzuoli . Nel Cinquecento il Serapeo era sicuramente emerso poiché le colonne con fori litodomici sono ricoperte dai prodotti dell'eruzione del Monte Nuo - Figura 10.Panarea, Basiluzzoegliscogli.Particolare dei partemeri dei corpi del comune basamento vulcanico Geologia dell'Ambiente • n. 1/2021 7

8 evoluzione post-tirrenica (sesto periodo eruttivo di Panarea circa 55.000 anni fa). Lungo i pendii settentrionale e meridionale, i metodi di crescita della cupola sono evidenti attraverso la foliazione a flusso verticale (cupola a cena) e le strutture dei bastioni. Il che lo rende un importante geosito di interesse internazionale (Fig. 11). pica durante il periodo romano e, successivamente, dall'azione dei contadini che vi lavorarono con varie radure e terrazzamenti. Rilievi recenti (Medaglia, 2008) hanno evidenziato schegge e nuclei di ossidiana presenti in tutta l'isola, in particolare nella parte bassa dell'isola, lungo i bordi del terrazzo che circonda la categoria collettivista. L'intera isola è caratterizzata dai ruderi di una grande villa distribuita su più livelli che digradano dalla sommità dell'isola verso est, con una distribuzione degli elementi posizionati in punti panoramici di notevole impatto paesaggistico. Si può ipotizzare che la villa marittima di Basiluzzo non sia stata concepita secondo una struttura architettonica a “blocco”, cioè articolata attorno al peristilio, ma organizzata in nuclei o padiglioni sparsi (Medaglia, 2008). Questa scelta è stata evidentemente imposta dall'irregolarità del terreno e dalla conseguente mancanza di una piattaforma edificabile sufficientemente ampia, ma anche dalla volontà di fornire al proprietario una vista spettacolare sull'ambiente circostante. L'accesso principale alla villa, probabilmente monumentalizzato, è da collocare sul lato orientale a ridosso dell'insenatura della Grotta del Carbone (Scariu Nuovu) dove si trovano una serie di ambienti affacciati sul mare che seguono l'andamento naturale del litorale. Un ulteriore accesso, attualmente utilizzato come accesso principale, si sviluppava con una rampa lungo il lato occidentale del vano. È forse da identificare con lo Scariu di Camardei citato dall'ufficiale di marina T. Flint che lo descrisse nella prima metà dell'Ottocento; dell'ingresso alla villa rimangono tracce di alcuni gradini in cocciopesto. Non si conserva il nome del proprietario, probabilmente un personaggio della famiglia imperiale (viste le risorse economiche impiegate), né l'epoca di costruzione e di utilizzo della villa ma, anche se una fase tardo repubblicana è testimoniata Figura 13. Basiluzzo è ritenuto plausibile . Muro per regolarizzare la superficie originariamente inclinata Figura 11. Metodo di crescita della cupola vulcanica Il profilo dell'isola simula l'esistenza di almeno 3 superfici terrazzate a 120 m slm, 100 m slm, 50 m slm. le morfologie, i tipici depositi detritici ei depositi fossili che possono ricondurli alle tracce di antiche stazioni marine, come avviene a diverse quote nella Panarea antistante (Fig. 12); qui hanno un'età documentabile superiore alla formazione di Basiluzzo avvenuta 55.000 anni fa. La formazione di questi ripiani è quindi da attribuire alla diversa consistenza e resistenza all'erosione delle rocce affioranti e all'azione antropica che, nel corso della sua storia, vi è stata esercitata (Fig. 13). Particolare era l'uso antropologico del sud-est (Scariu di Camardei) e genericamente testimoniava la frequentazione durante le varie fasi del Neolitico. La presenza di ceramiche d'impasto, riconducibili ad una generica età del bronzo, diventa invece indice di un'effettiva frequentazione intensa (senza poter affermare l'esistenza di un insediamento). L'assenza di testimonianze significative dell'età greca va letta alla luce di quanto riportato da alcune fonti circa l'agricoltura itinerante che i Liparoti praticavano nelle isole minori. Tucidite e Pausania, ma anche con maggiore precisione Diodoro Siculo, riferiscono che solo Lipari era abitata, mentre le altre isole erano coltivate nella Figura 12. Le strutture ancora visibili della villa da cui si può desumere la disposizione degli elementi strutturata secondo la morfologia dei luoghi Geologia ambientale • n. 1/2021

Figura 14. Resti dell'edificio in località “Filu e frasca” dell'opus quasi reticulatum, l'uso del reticolato suggerisce un'attribuzione delle strutture all'età giulio-claudia (Fig. 14). D'altra parte, la guerra contro Sesto Pompeo ei pirati condotta da Augusto e poi da Agrippa rende difficile pensare che una struttura simile possa essere stata costruita su un'isoletta come Basiluzzo e durante la guerra. Le ceramiche presenti suggeriscono che la vita della villa fu breve almeno come luogo di villeggiatura: considerazioni storiche suggeriscono la fine del periodo tiberico. Raffinatezza ed eleganza contraddistinguono le rovine di Filu e Frasca. Raggiungibile solo tramite rampe, doveva costituire il luogo più suggestivo della villa con cabine e almeno una terrazza belvedere. A questo lussuoso padiglione è attribuibile una ricchissima campionatura di intonaci di vario colore, probabili affreschi, lastre di marmo bianco, pietre colorate per mosaici pavimentali, elementi fittili di colonne in muratura, una notevole quantità di ornamenti in muratura. stucchi relativi a volte a cassettoni. In corrispondenza della scogliera di Punta di Levante e ad una profondità compresa tra -3,20 e -5,50 m, si trovano i resti di una peschiera, in cemento e sicuramente funzionale alla villa (Fig. 15). La peschiera è del tipo a cielo aperto ed è stata edificata a ridosso di una roccia isolata che presentava una conca naturale protetta su tre lati. La peschiera ha una forma vagamente trapezoidale e sui lati E e SE è chiusa da un muro a forma di L in calcestruzzo senza paramento in quanto ottenuto per getto in uno o più casseri lignei, probabilmente allagati, di cui impronte di catena nella settore SE. I PAESAGGI GEOARCHEOLOGICI Appartiene ai geoarcheositi un intero centro urbano che testimonia importanti variazioni paesaggistiche: Civita Bagnoregio (Viterbo). Il villaggio soffre di continui crolli che ne mettono in pericolo la stabilità. E' un centro medievale sorto su un precedente insediamento etrusco poggiato su soffici tufi emessi dal complesso vulcanico vulsiano durante il Quaternario (Fig. 16). Poggiano, a loro volta, su una formazione di argille marnose, anche quaternarie. Le infiltrazioni di acqua piovana all'interno di questi complessi litologici provocano un rammollimento delle argille e quindi continui crolli della parte esterna dell'abitato il cui perimetro si restringe sempre di più. La città è raggiungibile solo attraverso uno stretto camminamento armato di recente costruzione (Focardi P., Margottini C. Ogliotti C., Sciotti M., Serafini S., 1993). Gli ultimi interventi di salvaguardia rischiano di essere danneggiati dall'eccessivo afflusso di turisti, ormai regolato dal pagamento del biglietto d'ingresso. La città medievale è attualmente accessibile tramite questo stretto ponte (vietato a qualsiasi veicolo a motore). Fino agli anni Sessanta del secolo scorso esisteva una passerella in legno. La strada medievale partiva dalla struttura più verde che si intravede a sinistra, appena sopra l'ingresso alla città. LE CAVE Trascurate dalle ricerche geologiche e archeologiche del passato, sono tornate alla ribalta sia attraverso studi precisi delle prime, sia attraverso studi archeologici in varie parti del mondo, come Figura 15. La Peschiera di Punta di Levante Figura 16. Civita di Bagnoreggio (VT) e la strada d'ingresso in cemento armato Geologia dell'Ambiente • n. 1/2021 9

10 Figura 17. La cava di Chemtou, l'antico Simitto in Tunisia. Da esso, con un rigido sistema schiavistico, fu estratta una breccia gialla (Giallo Antico di Numidia), altamente stilizzata a Roma e in tutto il mondo romano. Le colonne interne e parte del pavimento del Pantheon di Roma sono in “giallo antico”. manufatti litici e resti di fauna tra i resti di bue, elefante, ippopotamo, rinoceronte, cavallo e cervo (Blanc, 1938-1939; Fabri et ali, 2014; Manzi et ali, 2001; Bruner, Manzi, 2006, 2008; Sergi, 1948). Impossibile non citare le “latomie” di Siracusa (Fig. 21). Con la colonizzazione greca del 734 a.C., Siracusa, inizialmente situata nell'isola di Ortigia, si espande sulla terraferma e la sua particolare conformazione geomorfologica, caratterizzata da un blocco calcareo di origine sedimentaria sollevato da una serie di faglie che la isolano dal resto del circostante, ha consentito di sfruttare il sottosuolo per la costruzione delle cosiddette "latomie", cavità sotterranee per l'estrazione della pietra, nonché pozzi, cisterne per la raccolta e la captazione dell'acqua. Le Latomie di Siracusa sono celebrate nei racconti scritti e illustrati dei grandi viaggiatori del Settecento e dell'Ottocento (Patrick Brydone, Jean Houel, Johann Wolfgang Goethe) e, attualmente, sono in parte cave a cielo aperto e in parte come cave sotterranee. L'assetto geologico originario è stato parzialmente cancellato dall'assetto urbanistico attuale della città e in seguito alle variazioni del livello del mare degli ultimi 2500 anni (Mirisola, Polacco 1996) che si sono modificate fino a celare importanti geografi o paleogeografi che come antiche sorgenti, impluvium linee di acque superficiali o zone paludose; si è però salvata parte del sottosuolo urbano e cave, catacombe, acquedotti, cripte, cunicoli, gallerie, cisterne, cantine e opere sotterranee in genere permettono di conoscere il sottosuolo sottostante la superficie topografica della città. La roccia che emerge nelle latomie è ascrivibile al Membro del Calcare di Siracusa (Miocene medio-basso) che, insieme al membro di Melilli, appartiene alla Formazione dei Monti Climiti. Nella sequenza stratigrafica, i calcari di Siracusa giacciono su un livello di vulcanoclastiti pre-miocenici e sono sormontati da depositi di basso mare e continentali a Chemtou (Fig. 17), l'antico Simittu da cui provengono i marmi gialli del Pantheon. A Roma. Ad Ostia si trova un museo molto ben organizzato dedicato all'intero ciclo di estrazione, lavorazione, trasporto terrestre e marittimo dalla Tunisia. di Figura 18. Cava Saccopastore con indicazione della posizione dei due teschi (Fabri et ali, 2014, p, 73) golena dell'Aniene e oggi difficilmente riconoscibile a causa della continua urbanizzazione della zona. La cava era ancora attiva negli anni '20 e al suo interno sono stati rinvenuti due crani fossili di Neanderthal (Fig. 18). Il geosito di Saccopastore si colloca all'interno di un'area di terrazzamento alluvionale del fiume Aniene, attribuibile al Pleistocene medio e superiore, che, nei primi decenni del Novecento, fu caratterizzato da attività estrattiva. Nel 1929 e nel 1935, nel corso degli scavi per l'estrazione della ghiaia, furono rinvenuti due crani di Homo Neanderthalensis, denominati Saccopastore 1, appartenente ad un individuo femminile di età matura, e Saccopastore 2 appartenente ad un individuo maschio di età 30-35, classificabile nel Riss-Wurm o “stadio isotopico 5” circa 120.000 anni fa (Figg. 19 e 20). L'area di cava, dove sono stati rinvenuti i due teschi, era situata in un'ansa sinistra dell'Aniene che oggi potrebbe essere collocata tra le attuali via Val Trompia, via Valvassina, via Val d'Ossola e via Nomentana. Nel 1936 uno scavo condotto dall'Istituto Italiano di Paleontologia Umana riportò alla luce alcune Figure 19. Il Teschio di Saccopastore 1 Geologia Ambientale • n. 1/2021 Figura 20. Il teschio del pastore 2

Figura 21. Latomia del Paradiso Figura 22. Latomia del Paradiso. L'orecchio di Dioniso dell'età plio-pleistocenica; questi ultimi sono disposti in sei ordini di elementi paleomorfologici generati dai mutamenti del litorale e sono costituiti da pianori di abrasione, scarpate morfologiche e depositi terrazzati (Di Grande, Raimondo 1982). Lo sfruttamento delle cave è ascrivibile alla metà del VII secolo aC e si concentrava su una vasta area già a partire dal V secolo aC sviluppandosi in ambienti sotterranei. Tra le cave più importanti ricordiamo la Latomia del Paradiso e ad est le vicine Santa Venera e Intagliatella. A nord di queste si trovano le Sidemie di Carratore e Teracati. Ad est di quest'ultimo, ma in zona più centrale, si trovano le Latomie di Broggi e Casale. Ad est di Siracusa e adiacenti alla costa si trovano le Latomie dei Cappuccini e la “Rutta e Ciauli” (Cavallari, Holm 1883). La Latomia del Paradiso si estende per circa tre ettari, sviluppata quasi interamente a cielo aperto e circondata da pareti rocciose verticali o strapiombanti alte dai 10 ai 40 m. L'unico ambiente sotterraneo visitabile è l'orecchio di Dioniso (Fig. 22); ha una pianta a forma di S stretta (dai 5 agli 11 m) in relazione alla sua estensione longitudinale e alla sua altezza. Le pareti che hanno forma curvilinea e aggettante convergono a forma di V rovesciata nella parte superiore. La Latomia di Santa Venera (Fig. 23) e quella dell'Intagliatella (Fig. 24) si trovano nell'area della tomba di Archimede e nell'area della necropoli “dei Grrotticelli”. Sulle pareti numerose sono le piccole nicchie quadrangolari che testimoniano il culto dei morti eroicizzati, molto diffuso in età Figura 23. Latomia di Santa Venera Figura 24. Latomia dell'Intagliatella Geologia dell'Ambiente • n. 1/2021 11

12 Figura 25. Carro ellenistico Latomia. Le Latomie del Carratore (Fig. 25) e Teracati (Fig. 26) si trovano in un'area compresa tra Via Necropoli Grotticelle, Viale dei Teracati, Villa Barresi e Villa Reimann e parte di esse sono inglobate al loro interno. Le Latomie del Broggi e del Calale, molto probabilmente, erano collegate all'estrazione di materiale per la costruzione della Neapolis e, ad oggi, sono chiuse all'interno di proprietà private. Da segnalare le Grotte dei Cordari e del Salnitro. Questi hanno una pianta irregolare con pareti piane, a sbalzo o “a tenda”. Il loro nome deriva dal tipo di lavoro svolto dagli artigiani che li impiegarono fino agli anni Sessanta del Novecento. I fabbricanti di corde di canapa utilizzavano le pozze d'acqua accumulate sul fondo per la follatura delle fibre, mentre nella Grotta del Salnitro le concrezioni di sali solubili venivano asportate dalle pareti per la loro commercializzazione. Vicino alla costa si trovano le Latomie dei Cappuccini (Fig. 27) e di “Rutta 'e Ciauli” (Fig. 28). La Latomia dei Cappuccini è la più antica; da documenti d'archivio risulta che fosse chiamato del "Palombino". Delle latomie siracusane, quella dei Cappuccini è la più antica; dai documenti d'archivio risulta che fu chiamato prima “Palombino” e poi “Silva dei Cappuccini”. Nel 1582 l'Università di Siracusa lo donò ai Frati Minori di S. Francesco affinché potessero costruire nella zona sovrastante il loro convento fortificato, a difesa della costa, continuamente attaccata dai moli. I frati trasformarono la Latomia in giardino e orto, con lo scavo di pozzi, cisterne, lavatoi e impianti di irrigazione. La “Rutta 'e Ciauli” è una cavità artificiale ben nota ai Siracusani costituita strutturalmente da una rete labirintica molto estesa di gallerie, in cui sono ben evidenti le tracce di estrazione dei blocchi. La Rutta 'e Ciauli si trova lungo la costa orientale della città, nei pressi del convento dei cappuccini e poco distante dal monumento all'Operaio in Africa. Presenta quattro ingressi comunicanti tra loro ad una quota di 5,50 m slm alla base di una rupe verticale di circa 20 m slm Una spianata, posta di fronte all'area di ingresso e anticamente molto più ampia, raggiunge la base della rupe. Lungo la costa sono visibili tracce di estrazioni di blocchi risalenti all'età greca, mentre altre tracce si riferiscono ad attività moderne (Bon-giovanni, Giunta, 2005; Felici, Lanteri 2012; Marziano, Arena 2016). Figura 26. Latomia dei Teracati Figura 27. Latomia dei Cappuccini Geologia dell'Ambiente • n. 1/2021

Figura 28. Latomia delle MINIERE “Rutta 'e Ciauli” Tracce di miniere e di attività estrattive sono state scoperte in vari luoghi del mondo e nella stessa Italia. Le miniere di Spiennes in Belgio, considerate le più antiche e grandi miniere di selce d'Europa, sono neolitiche. Con una densità di 20.000 pozzi per l'intero sito, hanno conosciuto dal Neolitico all'età del bronzo circa 150 generazioni di minatori. Le tecniche estrattive utilizzate, piuttosto sofisticate e complesse, riflettono un completo adattamento delle tecnologie alle diverse tipologie di terreni, appartenenti alle formazioni calcaree dette craie, e alle formazioni selcitiche presenti in loco. Le miniere di Spiennes sono state dichiarate Patrimonio dell'Umanità dall'UNESCO dal 2000. Altro Patrimonio dell'Umanità è sicuramente la miniera di Halstatt in Austria, distretto minerario di notevole importanza per l'estrazione del salgemma. Erano in funzione da almeno 7.000 anni fa, avendo un grande sviluppo qualche millennio dopo. La civiltà di Halstatt, a cui ha dato origine la regione mineraria, fu bruscamente interrotta da una frana nel IV secolo a.C. Una miniera molto antica, utilizzata probabilmente nel Paleolitico superiore, è stata recentemente ritrovata e studiata in Calabria, presso la Grotta della Nun nel comune di Sant'Agata d'Esaro (Cosenza), dall'équipe guidata da Felice Larocca . La grotta, una grande caverna che appare da lontano come una grande bocca, si trova a metà dell'altezza di una rupe posta su un piano pianeggiante. È con certezza la testimonianza di una fase terziaria e quaternaria umida all'interno della formazione calco-dolomitica dell'Unità di San Donato, non lontano dal Passo dello Scalone e dall'alto corso del torrente Sangineto, dove le unità calcareo-dolomitiche dell'Unità di Verbicaro e San Donato si immergono per poi scomparire completamente poco più a sud al di sotto delle unità metamorfiche. Nelle rocce calcaree sono presenti mineralizzazioni ferrose di goethite soprattutto e cuprifere tra cui malachite e azzurrite. La grotta (Fig. 29) Figura 29. Topografia della Grotta della Monaca (Larocca, 2011) è costituita da diverse caverne, denominate da chi l'ha scoperta: “Pregrotta”, “Sala dei pipistrelli”, con cunicoli di grande importanza denominata "Buco delle impronte" e "Ramo dei vassoi". Le prime mineralizzazioni che hanno avuto usi minerari sono quelle della Pregrotta, dove è stata trovata la goethite, un minerale di ferro che emerge in filamenti lungo le fratture della roccia. Tracce di estrazione sono confermate dal ritrovamento di strumenti in selce e in osso (Fig. 30). Il contesto è datato da un'ulna umana volutamente posta sotto una Figura 30. Strumento di scavo osseo per l'estrazione di roccia calcarea goethite che permette di datare la presenza della grotta a circa 20.000 anni fa in piena glaciale (Larocca, 2011) . Le ulteriori tracce di usi minerari per l'estrazione di minerali ferrosi scompaiono perché cancellate dall'uso per l'estrazione dello stesso minerale nel periodo immediatamente successivo alla fine del Medioevo. Proseguendo verso l'interno si raggiunge il grande vano detto "Sala dei pipistrelli", dove si trovano tracce di altre estrazioni conservate in maggiore quantità nel cosiddetto "Buco delle impronte" cui è stato assegnato il nome in quanto la pavimentazione è costituita da filamenti di morbidi goethiti che hanno conservato centinaia di impronte e tracce di scavo. Qui sono stati riconosciuti vari tipi di strumenti, realizzati in cervo volante, piccole zappe in osso di cervo e persino pagaie ricavate dalle scapole di grandi mammiferi. La zona era ovviamente buia. Nessuna traccia di lucerne è stata trovata, ma l'uso di torce realizzate con legno resinoso soprattutto Pinus sylvestris. Interessante anche la stabilizzazione delle aree in cui vi era il pericolo di crolli. Non tutta la goethite era stata rimossa, ma erano stati lasciati dei piccoli pilastri per sostenere le volte. Inoltre, i materiali di scavo erano stati ordinatamente disposti a formare veri e propri muretti a secco. Durante il Neolitico, per l'estrazione del rame furono utilizzate la malachite e, in misura minore, l'azzurrite (Fig. 31). L'età ottenuta dalla datazione al radiocarbonio - che prevede un periodo compreso tra Figura 31. Mineralizzazioni all'interno della grotta di Geologia dell'Ambiente • n. 1/2021 13

14 Figura 32. Strumenti di vario genere utilizzati per l'estrazione della malachite Fig. 33. Fonte Tullianum. Sorgente che oggi sgorga nella cripta inferiore del carcere tulliano. SPENDIAMO QUALCHE PAROLA SULLA "GEODVERSITÀ" Il termine "geodiversità" è stato usato per la prima volta da Sharples, nel 1993, per descrivere "la diversità degli elementi e dei sistemi della terra". Seguirono varie definizioni, più o meno complete da altri studiosi. Tra questi Wilson che ha sintetizzato il concetto in 2 categorie distinte: 1. risorse geologiche culturali, associate ai valori del patrimonio culturale della società che hanno lo scopo di preservare la bellezza fisica dell'ambiente e allo stesso tempo di rendere it oggetto di ricerca; 2. risorse economiche o estrattive/industriali, associate ai valori economici della società che si esprimono nello sfruttamento delle risorse fisiche del pianeta. CONCLUSIONI Le strategie di integrazione e valorizzazione, connesse con le attività di studio e di gestione di questi “geologico-geomorfologico-geo-archeologici svolte diventano occasione per avvicinare la geologia pratica e non solo teorica agli studenti di ogni ordine e grado, durante il loro normale periodo scolastico educazione; fine del V millennio e inizi del IV. Tra gli strumenti utilizzati vi è una maggiore specializzazione: strumenti di scavo in pietra levigata come asce-martelli, picconi e mazze. Solo la parte litica è conservata in grandi quantità, sia intatto e in frammenti, perché lo strumento, una volta divenuto inutile, è stato abbandonato sul posto.Sono state riconosciute due diverse tecniche di estrazione.La prima consisteva nel graffiare con punteruoli le mineralizzazioni del rame (Fig. 32), metodo che fu presto abbandonato perché molto dispersivo, sostituito dallo scavo di smottamenti e depositi accumulati sul terreno, al cui interno numerosi piccoli s i toni sono stati incorporati con un rivestimento di malachite e azzurrite. In questo modo i minerali di rame venivano acquisiti e trasportati in superficie, probabilmente all'interno di contenitori di natura organica (Larocca, 2012). FONTI Tra i paesaggi geoarcheologici, includiamo anche quelli in cui sono presenti le sorgenti. Come non citare l'area romana; la conformazione idrogeologica di Roma e la massiccia presenza di acque sia superficiali che sotterranee hanno permesso alla città di svilupparsi fin dall'antichità. La costruzione di condotte idriche permise alla città di avere quantità più che sufficienti per l'approvvigionamento, tanto che le sorgenti sotterranee divennero secondarie. Dopo le invasioni barbariche e il cosiddetto “taglio degli acquedotti” le sorgenti tornarono ad essere di fondamentale importanza fino a tutto il medioevo. I “sette colli” di Roma erano separati da profonde incisioni, attraverso le quali scorrevano le acque sorgive. Questi alimentavano gli antichi torrenti, noti da fonti storiche: l'Amnis Petronia, tra Pincio e Quirinale, e lo Spinon, tra Campidoglio e Oppio. Alcune di queste sorgenti sono oggi riconoscibili in quanto dedicate dai romani al culto di divinità legate all'acqua e alla fertilità della terra. Alcuni furono riscoperti nel corso dell'Ottocento e del Novecento per volere dei Papi. Sul territorio sono state riconosciute una ventina di sorgenti storiche, mentre per altre, ormai scomparse, sono presenti fontane o lapidi legate alla loro presenza che ne testimoniano l'esistenza e il valore storico e monumentale (Fig. 33) (Corazza, Lombardi, 1995 ; Fabbri et ali, 2014). Fig. 34. Tempesta di sabbia nel Sahara Geologia dell'ambiente • n. 1/2021 Fig. 35. Tempesta sull'Oceano Atlantico

b) attività culturali: evidenziare e valutare i valori culturali del paesaggio fisico e umanizzato; c) promozione di una nuova sensibilità geologica a sostegno del turismo didattico e scientifico; d) creazione di percorsi tematici in cui il geosito si trasforma da “oggetto geologico” in “bene culturale” fruibile e fruibile da tutti; e) attività di progettazione a sostegno della conservazione e divulgazione scientifica. Qualsiasi progetto di sviluppo posto in essere deve tenere conto dell'esistenza del geosito e della necessità della sua conservazione; f) aumentare il consenso della popolazione, molto importante per la protezione dei geositi, in particolare fossiliferi, e degli archeositi notoriamente tra i più a rischio; g) attività di studio e ricerca scientifica: collaborazione con Università ed Enti nazionali ed internazionali e conseguente incremento della ricerca, scoperta e valorizzazione di nuovi geositi; h) attività di conservazione della natura e del paesaggio; i) creazione di nuove opportunità professionali (laboratori di analisi, servizio di ricerca geotecnica, allestimento museale). LA DICHIARAZIONE INTERNAZIONALE DEI DIRITTI DELLA MEMORIA DELLA TERRA Così come la vita umana è considerata unica, è giunto il momento di riconoscere l'unicità della Terra. La nostra storia e quella della Terra sono inseparabili; le sue origini e la sua storia sono le nostre, il suo futuro sarà il nostro futuro. Come un vecchio albero tiene traccia della sua vita, la terra conserva i “ricordi” del passato scritti nelle sue profondità e nella sua superficie, nelle rocce e nel paesaggio. Questo tipo di registrazione può anche essere tradotto. L'uomo e la terra formano un patrimonio comune. Noi… siamo solo custodi di questo patrimonio. BIBLIOGRAFIA BlancA.C. (1938-1939) Il campo musteriano di Saccopastor nella pittura pleistocenica del Lazio. Giornale di antropologia, vol. XXXII, Roma. Bongiovanni V., Giunta A. (2005), Contributo per lo studio della topografia di Siracusa Antica, Associazione Trireme, Siracusa. Bruner E., Manzi G. (2006) Saccopastore 1: il primo Neanderthal? Un nuovo sguardo a un vecchio cranio. In Harvati K., Harrison T. (a cura di), Neanderthals Revisited: New Approaches and Perspectives, Springer, Dordrecht. pp. 23-36. 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16 Antiche cave di argilla e relative fornaci a Fornaci di Barga (LU) Parole chiave: Fornaci di Barga, Barga, Media Valle del Serchio, Serchio, Ania, Loppora, fornace per laterizi, fornace Verzani, fornace Arrighi, cave di argilla Opere principali: Fornaci di Barga, Barga, Media Valle del fiume Serchio, Serchio, Ania, Loppora, fornace, fornace Verzani, fornace Arrighi, cave d'argilla Mara Dell'Aringa Geologo E-mail: mara.dellaringa@perlambiente.org Massinissa Ramacciotti Archeologo E -mail: massinissa.r@alice.it La frazione di Fornaci di Barga, situata nella Media Valle del fiume Serchio (LU), in passato aveva un'economia locale molto diversa da quella attuale, basata sull'agricoltura, l'allevamento e la produzione di laterizi. Già attive nell'antichità, le numerose fornaci dei Fornici di Barga fornivano al territorio numerosi mattoni e coppi, entrambi di diversa tipologia. La posizione delle fornaci nella zona era dettata dalla ricchezza della zona di argille plioceniche affioranti, e quindi facilmente coltivabili con mezzi anche rudimentali. Sebbene queste fornaci abbiano dato un contributo sostanziale allo sviluppo socio-economico della zona, oggi rimangono solo pochi frammenti del tessuto urbano spesso abbandonato. Figura 1. Carta geologica schematica (D'Amato Avanzi G. et Al., 2004) Geologia ambientale • n. 1/2021 INQUADRAMENTO GEOLOGICO Nel corso del Ruscianiano-Villafranchiano, tra la Lunigiana e la Garfagna, si sono formate varie depressioni tetoniche delimitate da faglie dirette in direzione appenninica. Nel Pliocene inferiore si aprì quello della Lunigiana, riempito dalla successione del bacino di Aulla-Olivola, iniziata nel Pliocene inferiore, e da quella del bacino di Pontremoli più a nord, iniziata nel Villafranchiano superiore. Nel Pliocene medio-alto si formò invece quello della Garfagnana, riempito nei pressi di Barga e Castelnuovo dai bacini omonimi. La frazione Fornaci di Barga si trova all'interno della depressione tettonica della Garfagnana a ridosso della Barghigiana ricca di depositi di Figura 2. Ciottoli di marmo di Apuana, contenuti nei depositi conoidi (Barsanti M. et al., 2009) Figura 3. Ciottoli di arenaria Macigno di origine appenninica, contenuto nei depositi conoidi (Comune di Barga, 2009) vari cicli fluvio-lacustri dell'omonimo lago tra il Pliocene inferiore e il Pleistocene superiore con il contributo contemporaneo dei ventagli di origine apuana. Dal Pleistocene medio a quello superiore iniziarono a prevalere nella conca ventagli di origine appenninica, poi incisi ed erosi nel fondovalle dalla rete del fiume Serchio. Secondo Antiga R. et al. (1985) i depositi villafranchiani della Conca di Barga danno luogo ad una successione di circa 300 m di spessore che può essere così sintetizzata: Primo intervallo lacustre e fluvio-lacustre Argille e argille sabbiose lignificate, sabbie e conglomerati; spessore massimo 150 m; affiora in prossimità di vari torrenti tra cui T.Loppora. Primo intervallo di conglomerati fluviali; spessore massimo 40 m; fiorisce in particolare lungo il T. Loppora. Secondo intervallo lacustre e fluvio-lacustre Argille e argille sabbiose lignificate, sabbie e conglomerati; spessore massimo 30-40 m. Conglomerati della seconda catena fluviale; spessore massimo 3-4 m; fiorisce in particolare tra Barga e Fornaci di Barga. Sistemi di conoidi lungo i bordi del bacino Il bacino di Castelnuovo ha una sequenza simile ma con pochi affioramenti e spessori minori. Da un punto di vista chimico-minerale, Dondi M. et al. (1998) indicavano le argille Fornaci di Barga (del Pliocene medio-alto) adatte alla produzione di mattoni ma mescolando l'impasto con più argille plastiche, mentre inutilizzabili per piastrelle. Davvero

Figura 4. Esempi di materiali provenienti da cicli fluvio-lacustri, da sinistra a destra: argille con fossili di una foglia (Pieve Fosciana), e di un gasteropode (T.Corsonna); lignite (Fosso Dezza, Castelnuovo di Garfagnana). Immagini di campioni del Gruppo Mineralogico Paleontologico di Fornaci di Barga, fotografati da Barsanti M., et Al., 2009. of progress. La maggior parte delle fornaci, invece, si trovava in prossimità delle foci dei due torrenti e nella fascia pedemontana tra di esse. STORIA DELLE FORNACI DI BARGA La storia del centro abitato di Fornaci di Barga inizia intorno all'anno 1000, quando era un piccolo borgo con il nome di Catarozzo (oggi località 'Caterozzo'). Il toponimo richiama le caratteristiche del territorio circostante, che all'epoca era rappresentato da un luogo paludoso talvolta allagato dalle piene del fiume Serchio ('Catarozzo' deriva da 'Cala', acqua, e 'Tur', insieme guado ). Le prime fornaci furono costruite tra i torrenti Loppora e Ania, ma erano poche. Dal 1230, con la guerra tra Lucca e papa Gregorio IX, la popolazione di Catarozzo si spostò in quota sui colli di Barghigiani. Cominciò così progressivamente a cessare l'attività delle fornaci fino al loro completo abbandono intorno al 1328. In quell'anno morì Castruccio Castracani signore di Lucca, e Barga si dichiarò indipendente dal dominio lucchese. Passò invece volontariamente a quella fiorentina fino all'unità d'Italia. Tra i tanti assedi della città di Barga, vi fu quello tra il 1436 e il 1437 del condottiero Niccolò Piccinino (arruolato dai Visconti di Milano). Barga fu difesa dalle truppe fiorentine di Francesco Sforza. Durante l'assedio, Picnicino utilizzò per la prima volta delle bombe nella zona nel tentativo di abbattere le mura. Era un cannone parabolico primitivo. Le mura della città furono danneggiate, ma le truppe fiorentine vinsero ancora l'8 febbraio 1437. Nel 1440 per ricostruire le mura di Barga si decise di riattivare le fornaci di Catarozzo. Grazie anche ad una situazione politica più stabile, le popolazioni tornarono in gran parte nella posizione del vecchio insediamento. Tra il XV e il XVI secolo, essendo pochi i fornaciai locali, furono richiamati da zone limitrofe o più lontane come il Castello di Verzano (Lunigiana), rinomato per la produzione di calce e mattoni. La maggior parte dei fornaciai prese dimora nelle attuali Fornaci Vecchia. Nel XV secolo fu ampliata e pavimentata una preesistente mulattiera che collegava Barga al Catarozzo, per il trasporto di mattoni e materiali da costruzione fino al castello di Barga. La strada prese il nome di 'strada della Giuvicchia' al termine della quale, nei pressi di Barga, fu costruito nel tempo il Convento di San Francesco. Dal 1500 al 1800 i materiali da costruzione sono stati ottenuti in particolare dalle analisi chimiche dei suddetti autori, è risultato che queste argille hanno un contenuto di: SiO2 62-69%, Al2O3 12-16%, Fe2O3 5-6% , MgO 2-3% e CaO e Na2O circa l'1% ciascuno. Questo chimismo è ottenuto dallo smantellamento di formazioni in luogo ofiolitico, i cui depositi in decomposizione sono stati assorbiti dalle paleocorrenti che contribuiscono alla sommità del bacino pliocenico. LE CAVE DI ARGILLA In passato, con la coltivazione manuale mediante picconi, le aree più facili da scavare erano lungo i torrenti Loppora e Ania, affluenti di sinistra del Serchio, con alveo totalmente o parzialmente incassato. Questi, incidendo i depositi fluvio-lacustri, portavano in superficie le argille lungo il loro alveo. L'esposizione degli strati aperti è stata favorita anche da numerose faglie che attraversano i bacini dei due torrenti. Dal punto di vista strutturale, infatti, l'area è profondamente tettonizzata, e mantiene una sismicità di classe 2 (DPGRT 421/2014) per le famiglie attive e capaci presenti nel territorio di Barga, e per il suo collegamento tettonico con la "Garfagna". -Asse sismico della Lunigiana”. Questi includono la faglia attiva di Loppia, che fa parte di un ricco sistema di faglie orientate NW-SE. Questa intercetta perpendicolarmente invece l'alveo del torrente Loppora con andamento NE-SO. Lungo gli assi torrentizi sono presenti diverse frane, che alterando lo stato dei luoghi, hanno contribuito all'esposizione delle argille. Questi elementi predisponenti hanno reso il corso di Loppora e dell'Ania adatto allo scavo manuale, tanto che in passato le loro sponde furono molto sfruttate e annoverate anche da Repetti E. (1833): 'fra Barga (errata: e il Torrente Tiglio) e il Castello del Tiglio sotto un gres secondario sono nascosti strati di legno impregnati di zolfo e bitume, in uno strato di carbonizzazione incompleto. Conservano tutte le tracce fibrose, e la struttura delle piante alpine a cui appartengono'. Si trattava quindi di cave che seguivano gli affioramenti lungo gli argini incisi dei torrenti, che come tali presentavano in sé alcuni pericoli di lavorazione. Le coltivazioni avvenivano solitamente tra il periodo primaverile e quello tardo estivo, in coincidenza con la stagione magra o secca. Tuttavia, trattandosi di corsi fluviali di carattere torrentizio, erano soggetti a piene improvvise, a volte violente, durante i temporali intensi come quelli estivi. In questo caso potrebbe verificarsi la perdita del cantiere e, nei casi peggiori, quella di vite umane. Infatti era coltivato senza particolari misure di sicurezza, ed una volta in alveo era soggetto a pericoli sia idraulici che geomorfologici per l'innesco di frane o cedimenti di vario genere. Oltre che per cause naturali, le frane potrebbero essere innescate da azioni antropiche. In questo secondo caso erano dovute al fatto che i cavatori uscivano ai piedi della stessa e favorendo così il loro movimento. La scarsa attenzione alle misure di sicurezza era dovuta sia alla scarsa conoscenza dei problemi, sia al disinteresse nei loro confronti. I cavatori delle cave di Barga, infatti, erano principalmente detenuti del carcere di Barga, attivo dal XIII secolo. agli anni '30. Erano quindi persone costrette ai lavori forzati, per le quali l'eventuale sorte avversa era di scarso interesse. Con la chiusura delle carceri non furono più impiegati detenuti e le cave rimasero attive fino alla metà del Novecento. Altre tipologie di cave erano presenti anche nel tratto pedemontano della sinistra idrografica del fiume Serchio tra le foci dei torrenti Loppora e Ania. Si trattava di cave di mezza collina, anch'esse coltivate manualmente con picconi a coda di rondine. La coltivazione non è stata meccanizzata nemmeno durante il ventesimo secolo. Diverse cave a mezza costa della zona sono state poi abbandonate nel tempo a causa del loro eccessivo ritiro verso la montagna. Infatti su questi rilievi, pur non essendo presenti frane naturali particolarmente significative, si trovano diversi edifici d'alta quota poco distanti dal fronte Geologia dell'Ambiente • n. 1/2021 17

18 Figura 5. Cartolina d'epoca della fornace Verzani quadro statistico delle fornaci del 1862, se ne registrano 16, di cui: tre di laterizi (mattoni, tegole, ecc…); cinque di mattoni e calce; solo otto di lime. Infine, a partire dalla fine dell'Ottocento, iniziarono a chiudersi progressivamente le cave di argilla, e di conseguenza anche le fornaci. CAVA VERZANI E FORNACE La cava Verzani era situata sulla sponda sinistra del F.Serchio tra la foce del T. Loppora e quella del T. Ania, in località 'La Quercia', ed adiacente alla fornace del stesso nome la cui struttura oggi è abbandonata. Era una cava a mezza collina, sulla cui piazza oggi c'è un vivaio. La cava era collegata alla fornace da una breve ferrovia su cui venivano spinti a mano carri carichi di argilla. Nel 1956 la cava e la fornace furono chiuse per eccessivo arretramento del fronte di coltivazione verso le case a monte. La fornace Verzani è una delle più antiche della zona e produce mattoni almeno dall'ottocento. Nel 1902 fu dotato di macchinari elettrici quali impastatrici e fornaci, che consentirono un incremento della produzione. Poiché le argille delle cave di Fornaci di Barga non erano adatte ad essere utilizzate da sole per la fabbricazione di mattoni, venivano impastate con la frantumazione dei ciottoli di Arenaria Macigno (presi dal 'cappellaccio di cava'). Con questa strategia sono stati superati vari problemi, comprese le fratture da raffreddamento. In questa cava, come in altre, erano quindi presenti tramogge per la frantumazione dei ciottoli e altri macchinari per la miscelazione. CAVA E FORNACE ARRIGHI La cava Arrighi era ubicata sulla sponda sinistra del Loppora, quasi presso la sua foce in Serchio, attigua all'omonima fornace (aperta circa dopo il 1862) in cui oggi ha sede il 'Brico I' (aperto 1992). Al suo interno è ancora conservato il camino della vecchia fornace, che purtroppo è tornato a fumare nel 2013 durante un incendio. Sono state poi mantenute le originarie strutture ad arco sulla facciata della bottega. La cava fu chiusa, per motivi di sicurezza, intorno al 1955 quando l'eccessivo arretramento raggiunse le vicinanze delle abitazioni. La fornace cambiò più volte proprietà, ma rimase la più grande di Fornace di Barga, tanto che in alcuni momenti riuscì ad impiegare fino a cento lavoratori stagionali. Produceva: mattoni pieni; mattoni forati a tre fori; a Figura 6. Fronte di cava negli anni 1989-1990. Foto per gentile concessione del Sig. Angelo Pellegrini Figura 7. Fronte di cava oggigiorno anche in zone lontane dal Catarozzo, grazie al commercio fluviale e di carri. Intorno al 1700, con l'espansione del paese, questo prese il nome di 'Fornaci di Catarozzo', poi nel secolo successivo 'Fornaci di Barga'. Secondo la stima della Geologia Ambientale • n. 1/2021 beni della Comunità di Barga dal 1477, all'epoca nel territorio di Barga esistevano quattro fornaci, di cui una destinata alla produzione di laterizi ed intestata al Sig. Antonio Nutini (probabilmente tra Catarozzo e Ponte all'Ania ). Invece nel

sei; 'foratoni'; piastrelle di Marsiglia; Coppi toscani e coppi (per tetti in coppi). I mattoni, destinati a gran parte della valle, furono posti ad essiccare sul suo attuale parcheggio. La fornace era una delle fornaci più produttive della zona. In particolare i mattoni della fornace furono utilizzati per la costruzione (1915-16) dello stabilimento SMI, Società Metallurgica Italiana (oggi KME), e per la sua ricostruzione nel secondo dopoguerra. LAVORAZIONE DELL'ARGILLA A FORNACI DI BARGA La produzione di mattoni e altri manufatti in terracotta svolta a Fornaci di Barga ha seguito varie fasi. La prima fase consisteva nella raccolta dell'argilla dalle cave, insieme ai ciottoli di Arenaria Macigno dai 'cappellacci' dei fronti di coltivazione poi utilizzati come sgrassanti. Nella seconda fase i vari materiali venivano macinati e amalgamati per essere poi utilizzati nella fabbricazione di mattoni e tegole. La terza fase ha visto la trasformazione del prodotto ancora grezzo e informe in manufatti di vario genere. I mattoni pieni sono stati prodotti con stampi, mentre i mattoni forati, i coppi e le tegole sono stati realizzati con 'estrusore in muratura'. In questa fase, per i mattoni forati, era prevista anche la stagionatura, che consisteva nel lasciare a cielo aperto il prodotto lavorato. Questa operazione di asciugatura ha facilitato la successiva cottura. La stagionatura, invece, non era necessaria per i mattoni pieni. La successiva ed ultima quarta fase ha visto il prodotto nel forno per la cottura. Le operazioni di lavorazione avvenivano secondo un preciso ciclo stagionale. L'argilla, infatti, veniva raccolta nei mesi estivi, per far essiccare facilmente i mattoni all'aperto. Pertanto la fase di stagionatura termina con la fine dell'estate mentre l'attività di cottura finale si è conclusa intorno a ottobre-novembre. Alcuni forni, come l'Arrighi e il Verzani, disponevano di particolari forni denominati 'a fuoco continuo con metodo Hoffmann' che consentivano una produzione più efficace in risposta alle richieste del mercato. La fornace Hoffmann era costituita da un canale circolare continuo: nella parete esterna erano aperte le porte per l'introduzione e l'estrazione dei materiali. Ad ogni porta, il canale di cottura poteva essere realizzato con schemi in ferro, che venivano azionati dall'alto del forno alzandoli o abbassandoli come delle paratie. Figura 8. Schema di un forno Hoffman (da www. Iliarubini.it/metodo_Hoffmann.htm) La sezione di canale tra i due successivi diaframmi era chiamata cella o camera di cottura. Ogni camera presentava, nella parete interna, un passaggio aperto su un canale in posizione concentrica al canale di cottura, fungendo da collettore di fumo. Questi passaggi erano chiusi da valvole azionabili dall'alto per mezzo di aste che passavano attraverso fori praticati nella volta del collettore. Il camino, al centro dell'edificio, comunicava con il canale da fumo attraverso quattro aperture. La volta del canale di cottura presentava numerosi fori e sfiati per l'introduzione del combustibile. Questi sfiati erano chiusi da coperchi cavi in ​​ghisa che ne garantivano la chiusura ermetica. La materia prima veniva caricata in una bocca e il materiale cotto veniva scaricato in quella immediatamente a destra. Altre camere contenevano i prodotti che avevano già cucinato e si stavano raffreddando. Con questo metodo si è proceduto all'infinito, avanzando in media di una camera ogni quattro ore. Il principio base di questi forni consisteva nel riscaldare l'aria di mandata a scapito del calore ceduto dai prodotti cotti che si raffreddavano e nell'utilizzare il calore posseduto dai prodotti della combustione per riscaldare i materiali da cuocere. Le cave di argilla sono attualmente tutte abbandonate ma alcune sono ancora riconoscibili. I forni, invece, sono andati in gran parte perduti o adattati ad altri usi. Nonostante ciò, passeggiando per Fornaci di Barga si possono ancora vedere, in gran parte del tessuto urbano, i mattoni in cotto prodotti in passato da maestri artigiani, che con fatica e impegno hanno sfornato pezzi di storia per tante persone. BIBLIOGRAFIA Antiga R., Moretti A., Patacca E., Scandone P., Torre R. (1985), Studio geologico-strutturale della Garfagnana al fine di una migliore caratterizzazione sismotettonica del rapporto finale area-relazione, Dip. di Scienze della Terra di Pisa. Barsanti M., Bianchi L. (2009), Pannelli geologici del Parco Comunale di Barga 'Fratelli Kennedy'. Bernini M. e Lasagna S. (1988), Rilievo geologico e analisi strutturale del bacino dell'Alta Val di Magra tra M. Orsaro e Pontremoli (Appennino Settentrionale), Atti Soc.Tosc., Sci.Nat.Memo . Serie A, vol. 95, pp139-183. Bernini M. e Papani G. (2002), La distensione della Rift Valley della Lunigiana nord-occidentale. Boll.Soc.Geol.It, Vol.121, 2002, pp313-314; Bonaventura A. (1914), Bagni di Lucca, Coreglia e Barga, Bergamo, Istituto Italiano Ed. Arti grafiche. Comune di Barga (2009), Piano Strutturale, a cura di Studio Barsanti, Sani & Ass. D'Amato Avanzi G., Perilli N., Puccinelli A., Sarti G. (2004), Depositi villafranchiani dei Bacini di Barga e Castelnuovo Garfagnana (Toscana, Italia): litostratigrafia e caratteristiche sedimentarie, Il Quaternario, vol . 17, pp. 313-322. Dondi M., Marsigli M., Morandi N., Piombi Barnabe 'C. (1998), Argille lacustri plio-pleistoceniche della Garfagnana (LU), della Lunigiana (MS) e della Val di Vara (SP): caratteristiche chimico-mineralogiche e tecnologiche per il loro impiego ceramico. Miner.Petrogr.Acta, Vol.XLI, pp. 225-242. Federici P., Mazzanti R. (1988), L'evoluzione della paleogeografia e il reticolo idrografico del Valdarno Inferiore, Soc.Geografica Italiana, vol.5- pp.573-615. Masini R. (1933), I due laghi pleistocenici di Barga e Castelnuovo della Garfagnana e il loro rapporto con le linee di frattura e le aree sismiche, Atti Accad.Sci.Lett.Art. Lucchese, vol. 4.3- pp. 3-55. Nardi R. (1961), Geologia dell'area compresa tra Pania della Croce, Gallicano e Castelnuovo Garfagnana (Alpi Apuane), Geol. It., vol. 80, pp. 267-237. Nardi R. (1981), Appunti geologici per una conferenza-dibattito sulla sismicità della Garfagnana, (convegno tenuto a Castelnuovo di Garfagnana l'1.10.1981), Comunità Montana della Garfagnana, ed. Maria Pacini Fazzi. Repetti E. (1833), Dizionario storico geografico fisico della Toscana, Volume primo. Sereni B. (1979), Storia dei Barghigiani tra Ottocento e Novecento', Ed. Il Giornale di Barga, Tip. Gasperetti. Sereni B. (1982), Pagine di storia di Fornacina, Ed. Il Giornale di Barga, Tip. Gasperetti. SITOGRAFIA Ivano Stefani, http: //www.giornaledibarga.it Castore, Catasto Storico della Regione Toscana, http: //www.502.regione.to- scana.it Forno a fuoco continuo Hoffmann, http: // www. iliarubini.it/metodo_ Hoffmann.htm RINGRAZIAMENTI Grazie al geom. Pierantoni Dario (ex dipendente del Comune di Barga), Sig. Emilio Lammari e Sig. Angelo Pellegrini. Geologia ambientale • n. 1/2021 19

20 Rissëu, i mosaici ciottolosi tipici del Levante ligure: rilevanza storica, sociale e geologica Parole chiave: rissëu, Levante ligure, geoarcheologia, geoarcheologia degli edifici Parole chiave: rissëu, Levante ligure, geoarcheologia, geoarcheologia delle costruzioni Marco Del Soldato Geologo - ISCuM Istituto del Storia della Cultura Materiale, Genova E-mail: marco.delsoldato891@gmail.com 1. INTRODUZIONE L'analisi geoarcheologica applicata alle strutture sopraelevate dell'edificazione spontanea nonché agli infiniti terrazzamenti storico-agricolo (soprattutto in Liguria), fornisce numerose e importanti informazioni per architetti, storici e archeologi. Basta uno sguardo alla campagna per rendersi conto del significato di questa frase. La materia prima per creare le centinaia di chilometri di muretti a secco delle Cinque Terre, ma non solo, è sempre stata rigorosamente locale. La pietra proveniva dagli affioramenti più vicini al luogo di costruzione, ma anche da eventuali coni di deiezione e smottamenti, o dalle discariche di piccole cave. In ogni caso, sempre il più vicino possibile ai luoghi di installazione. Di conseguenza, queste strutture sono indicative, almeno, di una parte della geologia locale. Ma non solo. In molti casi anche i fondali e le coste hanno assunto il ruolo di cava (https: //www.archeominosapiens.it/peso-luni/; https: //www.ar- cheominosapiens.it/luni-marmi/) . Da questi ambienti provenivano i grossi ciottoli per gli edifici più poveri o di servizio posti in pianura, ma anche e soprattutto i piccoli ciottoli utilizzati per la costruzione dei rissëu molto liguri e molto tipici. Sono i caratteristici pavimenti a mosaico dei sagrati e dei giardini delle ville e dei manieri liguri. In genovese rissëu significa proprio ciottolo, come riportano i vocabolari italo-genovesi di Casaccia (1851), il contemporaneo di Olivieri e quello di Paganini (1857). di ciottoli) e l'azione di astregà de rissëu (acciottolare e pavimentare con ciottoli). I rissëu sono piccole/grandi opere d'arte spontanee create, all'inizio, negli stretti accessi e nelle piazze antistanti le chiese del paese per esaltarne la mancanza di respiro. Ma quella Geologia dell'Ambiente • n. 1/2021 sono rapidamente diventati un tradizionale elemento decorativo-artistico che ha caratterizzato i sagrati e arricchito palazzi e ville signorili, fino a rappresentare una sorta di status symbol. I rissëu sono una delle peculiarità più intriganti e meno conosciute del paesaggio storico-architettonico ligure. La più occidentale è quella del sagrato della Basilica di San Michele Arcangelo di Mentone. Ma è soprattutto lungo la costa tra Genova e La Spezia, di cui il Golfo del Tigullio costituisce il baricentro, che esse sono più rappresentate e significative. Si incontrano in quasi tutti i paesi liguri dove sono una testimonianza artistica e una profonda devozione. Tuttavia, il loro significato va oltre. È un'ulteriore prova della precisa conoscenza e conoscenza di un territorio morfologicamente aspro e difficile, ma soprattutto delle sue risorse geologiche. Si pensi all'estrazione di radiolariti e selci radiolari dalla cava di Lagorara (Maissana, La Spezia) per produrre punte di freccia (3500-2000 aC). Si pensi alle coltivazioni miste di solfuri nelle miniere di Monte Loreto e Libiola (età del bronzo) per l'estrazione del rame. E, infine, pensiamo all'estrazione di ardesia per infiniti usi edilizi (in primis i tipici tetti) documentata fin dal Medioevo, ma con testimonianze di utilizzo anche nella necropoli preromana di Chiavari (https: //www.archeominosa - piens.it/ardesia-tigullio/; https: // www. archeominosapiens.it/loro-nero-della-liguria-i-various-uses-dellardesia/; (Del Sol-data, 2020). L'esecuzione del rissëu, dalla raccolta dei sassi fino al loro insediamento, vedeva la partecipazione dell'intera comunità parrocchiale che ad essi si dedicava nei giorni festivi, attività che solo successivamente divenne patrimonio di artigiani, decoratori e artisti rimasti quasi totalmente anonimi. scoperta del rissëu costituisce un viaggio attraverso la Liguria, in particolare il Levante, all'interno di piccoli borghi, sagrati, palazzi nobiliari e piazze, seguendo il fil rouge rappresentato da questi manufatti ornamentali che più di ogni altro rispecchiano, con i colori e le litologie dei sassi ci ndr, le variazioni geologiche dell'ambiente in cui scendono: sarà quindi una sorta di viaggio geologico-artistico. 2 UN VIAGGIO IN GEOLOGIA ATTRAVERSO IL RISSËU I ciottoli utilizzati nel rissëu provenivano essenzialmente da raccolte effettuate lungo le coste. Al contrario, il campionamento in alveo è stato molto occasionale. Le coste assumevano un valore fondamentale. In questi ambienti la varietà litologica dei ciottoli è la più ampia. Qui l'azione del mare trasporta e deposita elementi litologici provenienti da lontano e non necessariamente presenti nei bacini incipienti. Un esempio: la spiaggia di Zoagli è sottesa dal grande affioramento di calcare grigio del Monte Antola. È del tutto plausibile che sulla sua sponda vi sia una grande quantità di ciottoli di questa litologia. Ma osservando da vicino è facile individuare, tra questi, ciottoli di ofioliti, arenaria, diaspro, calcare bianco, ecc. (Fig. 1). Le litologie e i colori dei russëu quindi non rispecchiano solo le rocce presenti nei bacini idrologici sottostanti. Sarà così possibile una coesistenza di diversi rissëu. Nelle zone e sui litorali a maggiore diffusione di ciottoli calcarei, come a Camogli, saranno più frequenti i rissëu bicromatici (Santa Maria Assunta, Fig. 2). Ma come a Zo-agli, rissëu può convivere anche con inserti di ciottoli di diaspro (Fig. 3), calcari bianchi e ofioliti seppur tali

Figura 1. La spiaggia ciottolosa di Zoagli (Genova) con massiccia presenza di ciottoli calcarei della Formazione Calcare Marnosa del Monte Antola, ma anche con la presenza di altre litologie (nel riquadro) Figura 2. Il rissëu bicrome del sagrato di Santa Maria Assunta di Camogli Figura 3. Particolare del rissëu nel sagrato di San Martino prevalentemente bianco e nero, ma con modesti inserti rossi vinato in ciottoli di diaspro (nel riquadro) litologie esterne al loro dominio geologico. E senza che queste litologie, almeno in origine, fossero state importate. Soffermiamoci ora sui principali litotipi che troviamo maggiormente utilizzati nei rissëu del Tigullio: • diaspro, per i rossi. I diaspri costituiscono vasti affioramenti nella Val Graveglia e nello spezzino. Come accennato, iniziarono ad essere utilizzati per scheggiare utensili e utensili di uso comune (punte di freccia, raschietti, ecc.) e, a partire dal XIX secolo, furono studiati per sfruttare i giacimenti di manganese che ospitano. Il loro colore tipico era fondamentale nel loro uso per il rissëu; • i calcari di Calpionelle, per i bianchi. Questi calcari si trovano solo nell'Alta Val Graveglia e in altri piccoli affioramenti radi. Ma sulle coste si possono trovare in notevole quantità alternati a ciottoli di altri calcari (compresi quelli metamorfosati) provenienti da La Spezia o da ciottoli di marmo apuano, di analoga tonalità; • i calcari marnosi del Monte Antola, per varie sfumature di grigio. Questi tigli grigi sono diffusi da Chiavari a Genova con un vasto affioramento lungo la costa. È chiaro quale sia stata la diffusione dei ciottoli grigi, nonché la loro raccolta e utilizzo. Tuttavia potrebbero anche essere sostituiti con gli strati grigio chiaro delle Argille di Palombini della Val Graveglia o di Bracco e altri calcari spezzini; • ofioliti, ed in particolare lherzoliti, per i verdi scuro-nerastri e, più occasionalmente, per i verdi chiari. Queste litologie sono diffuse nell'entroterra del Tigullio e da Bracco a Spezzino. Perciò i loro ciottoli si fanno sempre più rari man mano che si procede da Rapallo a Genova; • gabri o jaspers, per il verde chiaro. Per i diaspri verdi gli affioramenti sono molto limitati (e quindi sassolini occasionali). È più facile trovare ciottoli di gabbro dagli affioramenti della Val Graveglia e del Bracco. Ma il loro uso nel Russëu era molto occasionale. 3 LA REALIZZAZIONE DEL RISSËU La realizzazione del rissëu avviene ancora oggi seguendo gli stessi metodi storici. L'unica differenza è la raccolta dei sassi che, sul demanio, è vietata dalla legge. Geologia ambientale • n. 1/2021 21

22 Figura 4. Particolare del cinquecentesco rissëu della festa della chiesa di Santa Maria degli Incrociati (frazione di San Vincenzo a Genova), oggi conservato nell'ArcheoMetro della stazione della metropolitana di Genova Brignole Sia la costruzione del nuovo rissëu che il restauro di quelli storici è opera di pochissimi abili artigiani. La creazione del nuovo tappeto in ciottolato è sempre iniziata con la definizione del disegno che rappresenterà il motivo ornamentale dominante. Si tratta di motivi geometrici, la classica rosa dei venti, ancore e bastioni, trigrammi e immagini sacre, animali, intrecci di fiori e racemi, arabeschi, ecc., spesso associati tra loro. in composizioni complesse. Il passo successivo è stato la ricerca e la raccolta della materia prima: i ciottoli. Da questo momento in poi l'intera comunità è stata coinvolta e si sarebbe poi avvalsa del sagrato o della zona comune addobbata. Nella cultura materiale ci sono diversi esempi di collezioni collettive. Erano ad esempio le contadine che scendevano dalle alture di Genova per recarsi nei mercati dei paesi costieri a raccogliere i sassi per il rissëu del Santuario delle Apparizioni (dietro Genova Quarto). Oppure il sagrato della chiesa di Sant'Anna di Piazza (La Spezia) fu costruito nel 1869 con ciottoli raccolti sulla spiaggia di Deiva Marina dagli abitanti della frazione che lavorarono come operai alla costruzione della prima linea ferroviaria ligure (Genova -La Spezia). Le fasi di installazione del rissëu comprendevano (e prevedono ancora oggi) diverse fasi operative: a. la preparazione di un supporto di malta di calce e sabbia (secondo alcuni artigiani anche polvere di porcellana); B. l'inserimento dei ciottoli che formavano i perimetri delle varie figure sul tappeto; C. l'eventuale debole rettifica del lato dei ciottoli da interrare; D. l'inserimento degli elementi all'interno delle figure. Questo è stato fatto imparando molto da vicino i sassi l'uno con l'altro. La posa di ogni ciottolo era di fondamentale importanza. Ciascuno è stato battuto con mazzette di legno in modo da assicurare reciproci e precisi rapporti di coerenza a garanzia della stabilità complessiva del progetto. La coerenza dei singoli elementi è stata poi aumentata saturando gli interstizi con sabbia fine. In questo modo è stata assicurata anche la capacità drenante della superficie ricoperta dal mosaico di ciottoli. La posa dei singoli ciottoli, in relazione e in relazione agli altri, è stato il momento più delicato dell'intero processo. Da essa dipendevano la durata, la conservazione e la funzionalità del rissêu. Dalla sequenza delle fasi di posa emergono con chiarezza un paio di caratteristiche fondamentali di rissëu: la capacità drenante del tappeto, ma anche la sua funzione certa, contestuale, blanda, consolidante. Una conferma storica della seconda metà dell'Ottocento ricorda proprio queste caratteristiche all'origine dello stanziamento economico per la costruzione di uno dei più bei rissëu del levante ligure: quello della chiesa di Santa Maria Assunta di Missano, una piccola frazione del comune di Castiglione Chiavarese (Genova). La Fabbriceria di Castiglione Chiavarese ha motivato la proposta di creare il rissëu come segue: ... ha proposto che la chiesa non può rimanere in uno stato decoroso, a meno che non si formi un selciato in tutta la piazza, tanto più che in inverno il detta piazza è tutta ingombra di fango e d'estate piena di polvere che entra in chiesa... è approvata a pieni voti... (con delibera della Fabbriceria nel 1868). 4. IL RISSËU STORICO L'uso dei mosaici in ciottoli si sarebbe diffuso in Liguria a partire dai secoli XVI-XVII. Uno dei più antichi rissêu, del XVI secolo, emerso da recenti scavi effettuati alle spalle della stazione ferroviaria di Genova Porta Brignole, in corrispondenza della Chiesa della Croce. L'edificio sorgeva su un'importante via di penetrazione da est, che ricalcava un tracciato di epoca romana tratto dalla viabilità medievale (Melli e Strano, 2010-2011). Gli Incrociati erano... un antico istituto di spedalieri, così chiamati dalla croce che i frati portavano sulle loro vesti. Erano a Genova presso il ponte di S. Agata in frazione… di S. Vincenzo… (Casalis, 1840). Le operazioni di scavo effettuate in piazza Verdi hanno portato all'individuazione di un complesso di ambienti collegati ad una rampa e ad una piazza pavimentata con ciottoli a mosaico bianco e nero (con teorie di pesci), riferibili al cin- del Sagrato cinquecentesco della chiesa di Santa Maria degli Incrociati (data delle malte e dei mattoni 1580/1630 d.C.). Questa chiesa faceva parte del complesso monastico dei Canonici Regolari di Santa Croce o Crociferi, edificato nel 1191 nei pressi del Ponte di Sant'Agata e destinato all'assistenza ai malati e ai poveri. Il complesso si sviluppò tra alterne vicende e passaggi di proprietà tra il 1191 e il 1750, anno della più imponente ricostruzione da parte dell'ordine dei Crociferi, anche se Geologia dell'Ambiente • n. 1/2021 Figura 5. Particolare del famoso rissëu nel giardino del Palazzo Reale di Genova

la notizia della sua vendita e della trasformazione della chiesa in parrocchia risale al 1776. Più volte modificato secondo le esigenze della ferrovia, il complesso fu demolito definitivamente nel 1939… (Sanna, 2016). ... Il pavimento musivo (rissëu) in ciottoli di fiume o di mare bianco e nero evidenziato nello scavo presenta un motivo a settori con pesci disposti a spirale nella parte centrale e un motivo a lisca di pesce nelle parti laterali, esclusivamente in ciottoli verso la montagna e in ciottoli e mattoni centrali nella parte inferiore. Le analisi mensiocronologiche dei mattoni utilizzati in quest'ultima decorazione indicano due diverse date: la prima, tra il 1580 e il 1630, sembra essere riconducibile alla posa del mosaico, mentre la seconda (fine XVIII secolo) potrebbe riferirsi ad un intervento di restauro . Un quadro cronologico della metà del Cinquecento, compatibile con le notizie storiche del restauro della chiesa, è supportato dal confronto con altri strappi di mosaici ciottolosi, realizzati con la stessa tecnica, documentati in occasione delle indagini archeologiche nel Palazzo Fieschi a Carignano, nel Palazzo del Principe Doria e nel Chiostro del monastero di San Silvestro…, i primi esempi di una moda diffusasi nei secoli successivi… (Melli e Strano, 2010-2011). Il rissëu è stato rimosso dalla sua collocazione originaria, nella sua porzione meglio conservata, per essere ricollocato nell'area destinata all'ArcheoMetro della stazione della metropolitana Brignole (Fig. 4). Uno dei rissëu più belli, famosi e visitati è sicuramente quello del distrutto monastero delle Monache Turchine a Genova, ricostruito da Amedeo Porta nel Giardino Pensile del Palazzo Reale di Genova (Fig. 5) una sessantina di anni fa e recentemente restaurato . È forse il tappeto di ciottoli che presenta il disegno più vario e complesso, costituito da una serie di rappresentazioni di animali, paesaggi, scene quotidiane, mestieri oltre a scene e figure mitologiche. Ciò che colpisce, oltre alla sua complessità, è la generale bi-tonalità del disegno, solo occasionalmente interrotta da piccoli intarsi di colore diverso. Tra le originalità storiche riguardanti il ​​rissëu c'è anche una scena del film Il ribelle d'Irlanda, interpretato da Rock Hudson nel 1955. Il film, tratto dal romanzo Captain Lightfoot di WR Burnet, è un'avventura a sfondo romantico che si svolge in Irlanda nel 1815. Ebbene, in una scena del film, girata in Irlanda, compare un tipico rissëu ligure, alle spalle del protagonista. Va ricordato che alcune scene del film sono state girate nella Power Scourt Estate di Enniskerry, palazzo costruito nel 1740 per volere del Visconte di Powerscourt, Richard Wingfield, discendente di Sir Richard Wingfield, e membro dell'Ascendente Protestante del tempo. La dimora è famosa soprattutto per i suoi magnifici giardini, tra i più grandi d'Europa (20 ettari dei 400 ettari di bosco che la circondano). Qui, sequoie giganti e castagni nani convivono con cespugli di azalee, magnolie e rododendri. L'edificio è stato progettato dall'architetto tedesco Richard Cassels, ma Lord Powerscourt ha voluto rappresentare le bellezze e le originalità che lo avevano colpito nelle sue frequenti visite alle più importanti residenze signorili europee. Così dai ricordi riportati in patria trasse ispirazione per abbellire i giardini della tenuta con riproduzioni artistiche provenienti da tutta Europa. La fontana al centro dello scenografico Lago di Tritone, ad esempio, è stata ispirata dalla fontana di Piazza Barberini a Roma, lo stile della grande terrazza in pietra davanti a Powerscourt House ricordava chiaramente Villa Butera in Sicilia e le ripide scalinate riecheggiavano crëuse di Genova e di altri tipici borghi italiani. Ma furono i pavimenti rissëu disposti sugli ampi balconi e sulle ampie scalinate a caratterizzare e cristallizzare definitivamente i ricordi di Richard Wingfield, come mostra la scena del film. BIBLIOGRAFIA AA.VV. (2017), Prïe de Mâ - La Liguria dei Rissëu da Portofino a Moneglia. Hiro-AndCo Editore, Chiavari. Banchero G. (1846), Genova ei due fiumi (Vol. Parte prima). Pellas Luigi Editore, Genova. Bini T. (1853), I Lucchesi a Venezia. Alcuni studi risalgono al XIII e XIV secolo. Consiglio. Felice Bertani, Lucca. Bonci M., Firpo M., Ottomano C. (2014), Geoarcheologia dell'area urbana genovese. In P. Melli, Genova dalle origini all'anno 1000. Genova. 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24 I paesaggi “invisibili” dipinti. Beni geo-artistici da valorizzare per il geoturismo all'interno del geoparco delle Madonie (Sicilia, Italia) I paesaggi dipinti “invisibili”. Beni geoartistici da valorizzare a fini geoturistici all'interno del geoparco delle Madonie (Sicilia, Italia) Parole chiave: Geoparco delle Madonie, paesaggi scomposti, paesaggi pittorici, geoturismo Roberto Franco Geologo, scrittore e divulgatore scientifico, Gangi (PA) E-mail : robertofranco3@virgilio.it 1. INTRODUZIONE Nella concezione e costituzione dei parchi naturali in Italia è stato spesso posto un limite, ovvero quello di intendere la tutela dell'ambiente e della natura come fine ultimo di un progetto, trascurando le persone che vivono in quelle realtà e che, attraverso la loro assunzione di responsabilità (seppur senza rendersene conto), le hanno salvaguardate per secoli. Gli aspetti umani, culturali e sociali sono stati presi in considerazione molto raramente e solo se riferiti al folklore, fruibili per la bellezza delle immagini o per la ricchezza dei colori. Non c'è nessuno che non veda quali distorsioni cognitive e operative abbiano spesso generato un tale modo di procedere. Per questo vogliamo ribaltare l'orientamento prevalente, iniziando così a focalizzare l'attenzione proprio su quegli uomini (in questo caso pittori) e le loro opere (d'arte) che ci hanno lasciato nei secoli e che hanno saputo comunicare e valorizzare la dimensione-paesaggio in tutta la sua complessa ricchezza, trasmettendo all'osservatore, forse in parte, l'emozione di quel paesaggio, che molto probabilmente sarà stato quello “appartenente” all'artista stesso. Qualunque sia diventato il concetto di paesaggio, è difficile negare che abbia preso forma come concetto estetico, e la storia stessa della parola lo dimostra. In particolare, nelle lingue neolatine, i termini che significano “paesaggio” sono tutti neologismi che compaiono tra la fine del XV secolo e la prima metà del XVI secolo, per indicare non il paesaggio Geologia dell'Ambiente • n. 1/2021 reale, ma la sua rappresentazione, la cosiddetta “pittura di paesaggio”. Il termine paesaggio, riferito a quanto raffigurato nelle opere d'arte, compare per la prima volta intorno al 1530, nella Tempesta di Giorgione, descritto come “villaggio” su tela. Conditio sine qua non per poter parlare di "pittura di paesaggio" è considerare quest'ultima come un "tema autonomo", capace, cioè, di suscitare un'emozione estetica senza dover necessariamente fare da sfondo a un'azione del ' uomo. Quest'ultimo si propone il compito di disegnare il mondo. Negli anni popola uno spazio con immagini di province, regni, montagne, baie, navi, isole, pesci, abitazioni, strumenti, stelle, cavalli e persone. Poco prima di morire scopre che questo paziente labirinto di linee traccia l'immagine di un volto (Borges, 1982). È molto interessante indagare la “pittura del paesaggio”, riconoscendo ad esempio gli elementi geologici, idrologici e botanici; possono infatti contenere informazioni geomorfologiche e paleoambientali di incredibile precisione utili per ricostruire il paesaggio com'era all'epoca, possibilmente diverso dal nostro, e per capire come è cambiato nel tempo; altre volte gli elementi naturali sono riconoscibili come creazioni della fantasia. Grazie a questo tipo di lettura, i paesaggi di artisti famosi come Perugino, Piero della Francesca, Giotto, Leonardo, Raffaello e tanti altri non sono semplici "riempitivi", tanto meno paesaggi in cui si è scatenata la fantasia cercando la via del possibile interpretazioni simbolico-allegoriche, ma vere e proprie “fotografie” della realtà, ecco ciò che gli occhi del pittore hanno visto nel corso della propria esistenza (Vai, 2009). D'altra parte, perché doversi inventare un paesaggio, quando era a disposizione di tutti e, per la maggior parte, anche sorprendente nella sua estrema varietà e bellezza? Sulla scia di questa considerazione, da tempo si è affermata una nuova scienza: il landscape busting che rappresenta l'avanguardia in termini di cultura, diventando anello di congiunzione tra diverse discipline scientifiche e umanistico-artistiche. A questa disciplina si sono avvicinati studiosi del paesaggio che hanno avuto il merito di tracciare scientificamente i “paesaggi invisibili” di Piero della Francesca nel territorio del Montefeltro, tra Marche e Romagna (Borchia & Nesci, 2008), i luoghi dietro la famosa Mona Lisa di Leonardo da Vinci, sempre nell'alta Valmarecchia (Borchia & Nesci, 2012), i paesaggi che fanno da sfondo e incorniciano quindici opere immortali di Raffaello Sanzio (Borchia & Nesci, 2020), il paesaggio della celebre Crocifissione di Antonello da Messina, conservata ad Anversa, uno sfondo riconosciuto nello Stretto di Messina visto dalle colline dell'antico borgo di Camaro (Villari & Villari, 2011). Da parte dello scrittore sono stati indagati i paesaggi raffigurati nei dipinti di pittori che si sono ispirati ai paesaggi madoniti (Franco, 2016; 2018). La scoperta rappresenta una rivoluzione senza precedenti nel modo di affrontare il paesaggio: non solo una gioia per gli occhi, ma un approccio “alto” allo studio delle opere d'arte.

All'interno di questo approccio culturale-scientifico, innovativo e trasversale, nella lettura del paesaggio naturale che il presente contributo vuole collocare, che peraltro non è altro che la sintesi di un lavoro scientifico più ampio e approfondito che chi scrive è stato lavorando da tempo. In esso emerge, in tutta la sua singolare versatilità, il confronto tra le discipline scientifiche, strettamente riservate ai professionisti, e le discipline umanistiche, caratterizzate da un procedimento analitico aperto all'integrazione con altri aspetti culturali apparentemente lontani. Siamo fermamente convinti che la sinergia tra geologia, geomorfologia e arte sia foriera di risultati sorprendenti nella ricerca, nella comunicazione scientifica e nella fruizione delle opere d'arte. Il luogo delle nostre osservazioni è il territorio montuoso delle Madonie che rappresenta anche una delle principali emergenze naturali della Sicilia e per la sua tutela e valorizzazione la Regione Siciliana, nel 1989, ha istituito il Parco delle Madonie. Se le Madonie rappresentano sicuramente un'area di eccezionale interesse botanico e zoologico, costituiscono un'area di enorme importanza anche dal punto di vista geologico, tanto che, nel 2001, è entrata a far parte della Rete Europea dei Geoparchi ( EGN), nonché nella Rete Globale dei Geoparchi dell'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Educazione, la Scienza e la Cultura (UNESCO), nel 2004. Si estende su una delle aree della Sicilia dove maggiore è la necessità di tutelare i segni e le testimonianze , per disporli nell'ottica di una fruizione consapevole, che non è quella del turista veloce “mordi e fuggi”, ma del visitatore attento, paziente e soprattutto sensibile alla “cultura di montagna”. Siamo infatti convinti che la sinergia tra geologia, geomorfologia, arte e turismo possa essere foriera di risultati sorprendenti nella ricerca, nella comunicazione scientifica e nella fruizione en plein air delle opere d'arte. Inoltre, questa particolare lettura delle opere d'arte di questi (ma anche di molti altri) pittori è molto stimolante dal punto di vista scientifico e permette di fare interessanti osservazioni sull'evoluzione di processi e forme, creati nel periodo storico compreso tra il contemporaneo uno degli artisti e quello attuale. Con questo presupposto, quindi, l'interpretazione interdisciplinare della fruizione interdisciplinare delle opere d'arte (Gregori et alii, 2004) e degli elementi utilizzati dagli artisti per caratterizzare i propri ambienti naturali, con un approccio culturalmente trasversale. 2. QUADRO GEOLOGICO GENERALE Il massiccio delle Madonie costituisce il secondo gruppo montuoso della Sicilia, dopo il complesso vulcanico dell'Etna, per altitudine ed estensione territoriale. Per questo, ma anche per il suo fascino e ricchezza culturale, le Madonie sono state battezzate “Dolomiti di Sicilia”. Si può affermare che tutti gli aspetti della geologia della Sicilia sono presenti nell'area del Parco e nelle sue immediate vicinanze, ad eccezione del vulcanismo attivo. Un'area, quindi, estremamente significativa per lo studio della geologia siciliana che ha rappresentato, e continua a rappresentare, una “palestra” didattica per generazioni di geologi, studiosi e studenti universitari di scienze geologiche e naturali provenienti da tutto il mondo. Gli aspetti geologici del territorio attirano e stimolano anche la curiosità e la fantasia dei visitatori non particolarmente esperti di Scienze della Terra, che restano tuttavia estasiati dalla bellezza dei paesaggi che si susseguono dalle pendici dei monti alle zone sommitali. , sempre diverso e affascinante, alle strane forme dei fossili contenuti nelle rocce madonite, che evocano mondi sconosciuti e scomparsi, alla dolce frescura che le acque sgorgano dalle numerose sorgenti disseminate nel massiccio, al mistero delle tante grotte che sono porte di accesso agli inferi sconosciuti. La storia geologica delle Madonie è molto complessa e fa parte delle ancora più complesse vicende geologiche della Sicilia. L'area compresa in questo territorio rappresenta un segmento dell'edificio strutturale che fa parte della porzione siciliana della catena appenninica, che si estendeva per tutta la lunghezza della penisola italiana, attraversando il settore settentrionale della Sicilia fino alla costa nordafricana (il c.d. te Maghrebidi tunisine) (Malinverno & Ryan, 1986; Rehault et alii, 1987). Il segmento della catena siciliana settentrionale è costituito da numerosi corpi geologici caratterizzati da elementi geometrici estesi ma poco spessi, disposti a formare un complesso di unità embricate formato da rocce mesozoiche, carbonatiche e silicee (Abate & Ferruzza, 2004). L'evoluzione paleogeografica della Sicilia occidentale inizia con la fase di rifting continentale che, a partire dal Trias medio, determina la formazione di un bacino (quello di Lercara) in cui si sviluppano sedimentazioni terrigene e clastico-carbonatiche. Il Bacino di Lercara era un bacino eusinico circondato più o meno totalmente da formazioni di scogliera (Piattaforma Carbonatica Panormide e Piattaforma Carbonatica Saccense). Successivamente si è evoluto e diviso in un Bacino Imerese a nord e un Bacino Sicano a sud separati da un promontorio (Piattaforma Carbonatica Trapanese). Sia il Bacino Imerese che il Bacino Sicano sono caratterizzati da sedimentazione prevalentemente pelagica (Catalano & D'Argenio, 1978, 1982; Catalano et alii, 1996; Nigro & Renda, 1999). Questi domini sono rappresentati da piattaforme carbonatiche e bacini pelagici che, in tutto il Mesozoico, hanno caratterizzato il margine continentale africano in relazione allo sviluppo della Tetide. Alla fase di rifting è seguita una fase di chiusura oceanica che ha portato alla perdita dell'individualità delle unità paleogeografiche sopra descritte e che è culminata nella fase di collisione continentale. I grandi processi deformativi che hanno portato alla collisione continentale sono evidenti nella Sicilia occidentale solo a partire dal Miocene inferiore (Catalano & D'Argenio, 1978, 1982). Nei domini Saccense, Sicano e Trapanese sono presenti depositi da calcarenite a marnosi, mentre nei domini Imerese e Panormidi predominano depositi terrigeni, noti come Flysch Numidico. All'inizio del Miocene si svilupparono i primi accostamenti con la deformazione della Piattaforma Carbonatica Panormide, e poi del Bacino Imerese, in varie unità stratigrafico-strutturali (USS), che si sovrapponevano ai domini trapanesi. Nel Tortoniano il processo di deformazione e ondulazione raggiunse anche i domini trapanesi su quelli sicani, mentre ad est i domini imeresi si sovrapponevano direttamente a quelli sicani (Catalano & D'Argenio, 1978, 1982; Nigro & Renda, 1999) . Da questo momento si hanno chiare testimonianze di sollevamenti con la formazione di grandi accumuli di sedimenti clastici, anche grossolani (formazione Terravecchia) che si depositavano sul fronte dei sistemi fluvio-delta (Schmidt di Friedberg, 1962; Ruggieri & Torre, Geologia dell' Ambiente • n° 1/2021 25

26 1989), mentre ai margini di queste aree si è sviluppata una sedimentazione carbonatica di piattaforma (con scogliere coloniche marginali) e poi anche evaporativa (messiniana) (Ogniben, 1957; Selli, 1960; Decima & Wezel, 1971). Dal Messiniano al Pliocene medio-inferiore, nuove deformazioni si sono verificate nella Sicilia occidentale, interessando i domini sicani esterni e sacciani. Dai vari domini individuati durante le fasi di distensione hanno avuto origine una serie di unità stratigrafico-strutturali (USS), termine con il quale si intendono "corpi geologici non necessariamente sradicati dalla loro base, che mostrano generalmente omogeneità dei caratteri stratigrafici, delle litofacies e del comportamento tettonico e derivano da unità paleogeografiche preesistenti” (Catalano & D'Argenio, 1982). Nel contesto delle attuali conoscenze, l'assetto strutturale delle Madonie (Fig. 1), che ha avuto una storia di 20 milioni di anni, è definito dalla sovrapposizione delle Unità Sicilidi su quelle Panormidi e di queste ultime sul Unità Imeresi. Questo assetto, raggiunto alla fine del Miocene, è stato profondamente modificato da una fase tettonica riferibile al Pliocene superiore che ha determinato nuovi rapporti tra le unità stesse e nuove superfici di overthrust (Abate et alii, 1991). Le Unità Tettoniche Panormid si riferiscono al massiccio carbonatico costituito da calcari corallini molto duri, in cui spiccano Pizzo Carbonara, Pizzo Antenna o della Principessa, Pizzo Palermo e Monte Ferro. Si tratta di un ampio altopiano carsico che domina il nucleo centrale delle Madonie; è piuttosto ricco di doline, lunghe ciascuna qualche centinaio di metri e profonde circa venticinque. L'area è suddivisa in un ricco sistema di circolazione delle acque sotterranee, caratterizzato da calanchi e grotte di notevole valore naturalistico e scientifico. La parte sottostante del complesso carbonatico è dominata da dolomiti; interessa le stesse cime del Monte Mùfara e del Monte Quacella, estendendosi a sud fino al Vallone Madonna degli Angeli ea nord quasi fino alla costa. L e U nit à Te ttoniche Meresi, anch'esse di natura carbonatica, interessano le colline del settore occidentale situate ad ovest di Portella Colla e Piano Zucchi, culminando nel complesso del Monte dei Cervi. Le Unità di Flysch Numidiane sono costituite da depositi clastici del Miocene inferiore, sovrapposti in discordanza alle rocce dei domini Panormid e Imerese. Si tratta di suoli siliceo-argillosi, formati all'interno del cosiddetto "Bacino Numidico", un ambiente marino che si è costituito circa 24 milioni di anni fa, in seguito alla fase di collisione continentale, formando un'avanfossa, come area di accumulo di materiale proveniente da lo smantellamento di una catena montuosa in formazione e in aumento (Pescatore et alii, 1987). Questi substrati interessano principalmente il settore nord-orientale del territorio madonita. 3. I PAESAGGI DIPINTI "INVISIBILI" I dipinti a cui vorrei qui porre attenzione sono tre: il Giudizio Universale di Giuseppe Salerno, conservato nella Chiesa Madre di Gangi, il San Francesco riceve le stimmate, anch'esse salernitane, custodite in la Chiesa di San Francesco di Petralia Sottana, e il famoso trittico fiammingo di Polizzi Generosa. Giuseppe Salerno fu sicuramente uno degli artisti che più rappresentarono il paesaggio siciliano. Riuscì ad occupare una posizione tutt'altro che secondaria nel panorama pittorico di fine Cinquecento e primo Seicento, firmandosi ora con il proprio nome, ora con lo pseudonimo di "Zoppo di Gangi", riuscendo ad alimentare la cultura isolana. na con un linguaggio stilistico ricordato come la "maniera delle Lame" o, come l'hanno definita esperti e critici d'arte, una sorta di "metodo della Lame di Gangi" (Aa.Vv., 1997). Una prima considerazione acquisita dall'analisi dei paesaggi del pittore (considerazione forse banale, ma certo non scontata) è che amava spostarsi costantemente nei luoghi delle sue commissioni, in compagnia del suo taccuino su cui abbozzava le vedute che emozionavano lui e che poi decise di fissare nei suoi quadri, quasi a lasciare in eredità ai posteri il concetto di territorialità. Il Giudizio Universale può essere considerato il suo capolavoro, se non altro per la sua complessità iconografica e iconologica. Il pittore lavorò alla grande tela nel 1629, in piena maturità artistica. In quegli anni fu certamente colui che Figura 1. Schema geologico-strutturale del gruppo montuoso delle Madonie (da Abate & Ferruzza, 2004). Legenda: 1) Depositi quaternari; 2) Depositi terrigeni post e sintettonici, rocce evaporitiche e carbonatiche; 3) Unità Tettoniche “Sicilidi” caratterizzate da argille multicolori e calcari marnosi; 4) Unità di Flysch numidi costituite da depositi clastici del Miocene inferiore; 5) Unità Tettoniche Panormidi; 6) Unità Tettoniche Eteresi; 7) Contatti tettonici Geologia dell'Ambiente • n. 1/2021

Figura 2. (a) Giuseppe Salerno, Giudizio Universale, part., Chiesa Madre di Gangi, 1629; (b) Confronto tra il dettaglio del Giudizio Universale e il distretto di Re-giovanni, nel territorio di Gangi; (c) Particolare del costone roccioso dipinto nel Giudizio Universale; (d) Confronto tra il costone roccioso raffigurato nel dipinto e quello effettivamente presente in contrada Regiovanni “tenea lo campo” nell'intero territorio madonita (Aa.Vv., 1997). Nella tela è lo skyline di un paesaggio che fa da spartiacque tra il registro superiore (sfera celeste) e quello inferiore (sfera terrestre) (Fig. 2a). Il paesaggio rappresentato è alquanto complesso; esso, alla destra dell'osservatore, è costituito da un chiostro di rocce fessurate e fumanti, alla maniera di Hieronymus Bosch, che soffoca il campo del Tartaro, mentre a sinistra si apre verso un ambiente più dolce e collinare (Valenziano , 2009). La fig. 2b mostra inequivocabilmente che il paesaggio raffigurato non è inventato ma Giuseppe Salerno, in qualità di artista e produttore, si ispirò a ritrarlo in contrada Regiovanni, in località Gangi, luogo conosciuto fin dalla preistoria e soprattutto dal Medio Ere dovute alla presenza del castrum di Rahal Iohannis, che ha dato il nome al quartiere. Le imponenti creste rocciose (localmente denominate Rocca di Radiuvanni) non sono altro che le quarzareniti del Flysch Numidico dell'unità tettonica di Monte Salici. Sono di Geologia Ambientale • n. 1/2021 27

28 di colore bruno-giallastro con grana fine, struttura massiccia, e si presentano in possenti argini che si elevano per più di venti metri. Con inclinazione pressoché verticale, le quarareniti poggiano sulle argille bruno-tabacco appartenenti alla stessa unità tettonica. Il paesaggio a sinistra, quello più collinare (da cui sorgono i morti) è costituito, in primo piano, da argille bruno-tabacco, mentre sullo sfondo l'oligocene Argille Varicolori. Il netto passaggio dal colore bruno al verde è molto indicativo nel sottolineare il contatto tra i due litotipi che, in realtà, avviene tettonicamente attraverso una faglia inversa che porta alla superficie delle argille oligoceniche (Barreca, 2007). Infine, sullo sfondo, i profili dell'altopiano di La Rupe e della montagna su cui sorge il paese di San Mauro Castelverde (Franco, 2016). Interessante nel dipinto (sotto l'arcangelo Michele pronto a difendere con la spada il gruppo dei beati diretti verso la porta del paradiso) è una costa rocciosa, costituita da quarzareniti del Flysch Numidico (Fig. 2c). Anche questo elemento non è inventato, ma riprodotto fedelmente dalla realtà; infatti, sempre in zona Regiovanni è presente un ripido rilievo isolato che emerge dalle argille bruno-tabacco (Fig. 2d). Confrontando il dipinto e la fotografia è possibile osservare sia come la morfologia sia molto simile, sia come siano chiaramente visibili le faglie presenti nell'affioramento (linee tratteggiate) (Franco 2016). Nel 1624 Giuseppe Salerno firma la tela San Francesco riceve le stimmate di Petralia Sottana, che si inserisce a pieno titolo nel “ciclo francescano” delle riproduzioni pittoriche dell'artista. In particolare, sul lato destro del dipinto (Fig. 3a), è possibile ammirare un paesaggio sul quale si intravedono alcune piccole figure di frati diretti verso una piccola chiesa con annesso convento. Lo spaccato del paesaggio è riconducibile alla località chiamata localmente u vazu di Santu Tieri. La roccia si staglia al centro di un paesaggio affascinante, sia per la sua particolare morfologia, sia per i tipi di rocce che la compongono; infatti il ​​corpo centrale di Pizzo è costituito da litologie calcareo-dolomitiche a contatto tettonico sia con le sovrastanti calcilutiti fossilifere del Triassico, che creano il “cappello”, sia con i sottostanti depositi numidici (Torre, 2014). Cozzo Sant'Otiero, che si presenta come un dente biancastro che esce da un substrato argilloso numidico, in passato, per secoli, è stato utilizzato come preziosa cava di roccia. Sopra Cozzo Sant'Otiero si trovano le propaggini meridionali del Monte San Salvatore, tra le quali spicca il Pizzo dell'Inferno. Sulla destra è riconoscibile Cozzo Lampo, mentre in primo piano (dove è dipinto il convento) è l'area flyschioid di San Miceli. Per rappresentare questo territorio esteso (Fig. 3b) nel piccolo spazio della tela, l'artista ha utilizzato la tecnica della compressione. Ciò significa che, sulla base di calcoli diversi sugli intervalli di distanza, altezza, dimensione, il risultato ottenuto è uno scenario leggermente diverso dall'originale. Ciò è particolarmente evidente nella zona di San Miceli dove i dislivelli, rispetto all'originale, sono più esasperati. L'ultima osservazione di questo contributo riguarda il grande Trittico fiammingo di Polizzi Generosa (Fig. 4). L'opera, definita «così splendidamente sottilmente artificiale, e meravigliosamente lavorata, che non appare da mani umane ma da mani angeliche dipinte» (Mistretta, XVIII secolo), è senza dubbio il capolavoro di un artista fiammingo. Inizialmente indicato come il "Maestro del fogliame ricamato", pittore attivo nel XV secolo, le tradizionali attribuzioni dell'opera di Polizzan - a parte le più antiche e remote in Dürer o lo stesso Van Eych - hanno sempre oscillato tra Memling, Hugo Van der Goes e Van der Weyden (De Michele, 1852; Borgese, 1878; Gabrici, 1924-1925; Abbate, 1997; Schimmenti & Valenziano 2001). Un mistero avvolge la storia di questo capolavoro quasi dimenticato, quasi invisibile. Si tramanda il suo fortunato e ardito arrivo a Polizzi e quell'iscrizione in fondo Lucas Jardinus optulit gratis Deo, che è certamente falsa, e quindi non di mano del pittore fiammingo, è servita a poco oa nulla. Secondo quanto attestano le fonti sei-settecentesche sulla scia di un manoscritto perduto, Luca Giardino sarebbe stato il capitano della nave che, scampato alla tempesta e volendo sciogliere il voto fatto nel momento del pericolo, consegna l'importantissimo lavoro che ebbe con sé il primo frate che incontrò appena arrivato a Palermo e lo portò subito a Polizzi con una serie di ulteriori vicissitudini (Borgese, 1878; Anselmo, 1993; Abbate, 1997). Al di là delle dimensioni davvero sorprendenti, l'opera conferma che all'inizio del Cinquecento, anche in Sicilia e sulle Madonie, esisteva una predilezione molto particolare per la pittura fiamminga da parte di nobili, corti ed ecclesiastici. L'esecuzione dell'opera è molto curata, curata nei minimi dettagli; i ricami delle vesti, gli intagli del trono, le gemme incastonate, la flora, perfino il cartiglio con la figura 3. (a) Giuseppe Salerno, San Francesco riceve le stimmate, part., Chiesa di San Francesco sono abilmente reso. di Petralia Sottana, 1624; (b) Confronto tra il particolare di San Francesco che riceve le stimmate e il territorio di Petralia Sottana. Geologia dell'Ambiente • n. 1/2021

Figura 4. Rogier van der Weiden (attribuito), Trittico fiammingo, XV secolo (Ph. Antonio Schimmenti) vita quotidiana. I pittori fiamminghi mostrarono un interesse sempre più marcato per la realtà e la rappresentazione naturalistica. Anche il Quattrocento fiammingo, quindi, può essere considerato un punto di riferimento culturale per tutta l'Europa dell'epoca. Inoltre, la peculiare e fortunata posizione geografica delle maggiori città fiamminghe stimolava il commercio di transito, che richiedeva una pronta disponibilità finanziaria. Molte banche, anche estere, tra cui numerose italiane, provvedevano a queste richieste di liquidità, che spesso aprivano proprie filiali a supporto di fiorenti attività economiche e scambi sempre più diffusi con tutta l'Europa. Ciò ha portato ad un notevole aumento dei viaggi per affari, ma anche per studio, lavoro e piacere. Commercianti, banchieri, diplomatici ma anche cartografi, scienziati, maestri di ogni arte cominciarono a spostarsi da un territorio all'altro. È quindi molto probabile che grandi pittori si spinsero fino all'interno della nostra isola e qui accettarono commissioni e lasciarono opere di grande perfezione, e come sfondo ad esse paesaggi meticolosi e chiarissimi legati ad emozioni così intense da voler essere cristallizzato in un dipinto a eterna memoria di quel dolce tumulto che attraversò l'animo dell'uomo e raggiunse la maestria del pittore. Tale ipotesi potrebbe essere ricondotta al mirabile Trittico di Polizzi Generosa con all'orizzonte il Monte San Calogero, al di là di ogni leggenda o ricostruzione, dipinto sul posto da un artista fiammingo giunto sull'isola facendo tappa durante un lungo viaggio o abbozzato su un quaderno sottile e poi forse realizzato in patria sulla scia di ricordi e sensazioni che affioravano spontaneamente e di cui si percepiva ancora il sapore intenso. zione musicale che fa riferimento alla celebre Ave Regina del compositore inglese Walter Frye (Carapezza, 1965; Schimmenti & Valenziano, 2001). Da questa meticolosa rappresentazione non poteva certo sfuggire un particolare di paesaggio, per quanto piccolo, dipinto nel pannello centrale dietro i due angeli che suonano flauto e liuto. Si tratta di un rilievo particolare che, ad un'attenta analisi macroscopica, è riconducibile al Monte San Calogero che fa da sfondo, in direzione nord-ovest, alla città di Polizzi (Fig. 5). Confrontando le due figure si vede come i due profili coincidano perfettamente. Il colore bluastro del dettaglio riprodotto è anche indicativo della litologia del possente massiccio formato da calcari e dolomiti originario del Mesozoico. Geologicamente il Monte San Calogero è una grande anticlinale, lacerata da faglie dirette (evidenziate anche nel dipinto) precipitando verso nord con notevoli scarti (Franco, 2018). Da queste osservazioni è naturale porsi delle domande. Possibile che l'autore fiammingo del trittico conoscesse il territorio di Polizzi Generosa? Può essere che il dipinto sia stato eseguito in loco? È possibile rintracciare il nome dell'autore tra i pittori fiamminghi che si recarono in Sicilia? Si tratta indubbiamente di domande imprescindibili nel caso specifico e trovare una risposta indubbia non è facile, si possono solo fare supposizioni, anche se non suffragate da evidenze evidenti. , invece, è avvolta nel mistero, dal nome del suo autore al suo arrivo in Sicilia, ma ciò non ne altera indubbiamente la straordinarietà. Quel che è certo è che è stata l'arte del Quattrocento a riscoprire il "reale" nella sua accezione più ampia e una sensibilità religiosa sviluppata in tutti i paesi nordici che cercavano un rapporto più stretto tra Dio e l'uomo in quanto tale. anche l'identificazione con la divinità dovrebbe essere incoraggiata. Questa diversa spiritualità è stata una delle ragioni che hanno spinto gli artisti ad una ricerca figurativa più realistica, attenta ai dettagli della Figura 5. Confronto tra il dettaglio del trittico fiammingo e il massiccio calcareo del Monte San Calogero (Ph. Antonio Schimmenti) Geologia dell'Ambiente • n. 1/2021 29

30 4. CONCLUSIONI Il professor Ardito Desio amava dire: «Sono pochissimi i turisti che, come i geologi, riescono a godere più intimamente delle bellezze della natura. Non solo i paesaggi, per quanto pittoreschi, li soddisfano. I geologi interpretano anche le meravigliose strutture interne e gli effetti dei potenti impatti e spinte di enormi masse rocciose che hanno progressivamente disgregato gran parte della crosta terrestre. Il geologo sente dunque la meravigliosa armonia che associa le forme esterne a quelle interne, rendendole in una sequenza di cause ed effetti». Sicuramente la geologia e il turismo hanno molti punti in comune. Il “turismo geologico” rappresenta una delle possibilità per il geologo di far conoscere e osservare il territorio con occhi diversi al grande pubblico. In questo senso, al di là di ogni considerazione, acquisire gli aspetti geologico-morfologici dei panorami dei dipinti in questione così come quelli di tante altre sorprendenti, singolari opere presenti nel territorio madonita (e non solo) e poter quindi contestualizzare loro significa proprio saper tracciare un processo turistico-culturale attraverso le diverse località. Ciò consentirebbe, inoltre, di mettere in rete facilmente i punti di osservazione scelti dai pittori così da poter godere di quel museo diffuso, a cielo aperto, impregnato di rara originalità che i "maestri della pittura" hanno saputo creare sull'isola . , che costituisce oggi una significativa precondizione di interessante valorizzazione economica per terre spesso abbandonate a se stesse, innocenti prigioniere di decenni di oblio e silenzio. Inoltre, considerando che il Parco delle Madonie è entrato a far parte della Rete Europea dei Geoparchi, le riflessioni di questo contributo possono essere lo spunto per la creazione di innovativi itinerari geologici, storici, culturali e naturalistici che possano aiutare la promozione e la fruibilità di questo inestimabile patrimonio tanto sconosciuto quanto apprezzato. BIBLIOGRAFIA Aa.Vv. (1997), Vulgo dicto lu Zoppo di Gangi, catalogo della mostra, Nuova Graphicadue, Palermo. Abate B. & Ferruzza G. (2004), La geologia del parco, in Aa.Vv., Guida geologica del Parco delle Madonie, Parco delle Madonie - Università degli Studi di Palermo, Dipartimento di Geologia e Geodesia. Abate B., Catalano R., D'Argenio B., Geologia ambientale • n. 1/2021 Stefano E., Di Stefano P., Lo Cicero G., Montanari L., Pecoraro C. & Renda P. (1982), Evoluzione delle zone cerniera tra piattaforme carbonatiche e baci nel Mesozoico e nel Paleogene di Sicilia occidentale, in catalano R. & D'Argenius B. 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Il geosito "Travertino della Cava Cappuccini" Alcamo (TP) Il geosito "Travertino della Cava Cappuccini" di Alcamo Parole chiave: travertino di Alcamo, geositi in Sicilia, fossili di elefanti Parole chiave: travertino di Alcamo, geosito Sicilia, fossili di elefanti Girolamo Culmone Geologo Libero Professionista Email: geogiro@libero.it Manuela Cottone Laurea in scienze geologiche Email: manuelacottone@gmail.com Dicembre 2015, l'Assessorato Regionale al Territorio e Ambiente ha istituito il geosito “Cava di Travertino dei Cappuccini ricadente nel territorio del comune di Alcamo” Catalogandolo come geosito di tipo “Paleontologico / Stratigrafico” e identificandolo come di rilevanza mondiale. Tutti i reperti, compresi alcuni raccolti anche nel 1928 dall'allora direttore del museo GG Gemmellaro di Palermo prof. Ramiro Fabiani di una delle cave allora attive sempre a nord del paese detta “fontana del Sasso”, sono custodite dal Museo Gemmellaro ed alcune di esse sono esposte nella sala dedica te agli elefanti di Sicilia. Dopo un lungo periodo di silenzio si tornerà a parlare dei fossili di travertino a metà degli anni '80, momento in cui l'interesse viene risvegliato anche dal mondo accademico e dagli studenti alcamesi in geologia con la riapertura delle collezioni del museo geologico grazie al curatore, l'indimenticabile Enzo Burgio. L'area del geosito si trova a nord dell'abitato di Alcamo ed è formata dall'area dell'ex cava di travertino lungo le cui pareti si possono ancora osservare le tracce del lavoro manuale, numerosi gruppi di uova di tartaruga e un'eccezionale sezione del cranio di Elefa falconieri. L'intera fascia settentrionale dell'abitato era occupata da cave e cave grandi e piccole che hanno profondamente modificato la fisionomia dei luoghi, fermandosi appena al di sotto degli edifici dell'abitato. Il travertino di Cava Cappuccini, attivo dagli anni Cinquanta, è molto importante dal punto di vista paleontologico, infatti per la prima volta sono stati rinvenuti fossili di due associazioni faunistiche in netta successione stratigrafica. la presenza di elefanti di diverse dimensioni, vissuti in Sicilia in epoche diverse: l'Elephas mnaidriensis Adams (taglia media) vissuto in Sicilia 180.000 anni fa e l'Elephas falconeri (detto l'elefante nano) vissuto 550.000 anni fa. Dalla metà degli anni 2000, grazie anche all'impulso di Sigea e di alcuni suoi partner siciliani, sono state inviate diverse segnalazioni per inserire alcuni siti nell'inventario nazionale allora gestito dall'APAT. Tra i primi in assoluto, nel giugno 2008, è stato riconosciuto il geosito di "Capo Rama", prendendo spunto da un precedente studio dell'Università di Palermo "I ciclotemi triassici di Capo Rama" (Geologica Romana vol XIII 1974 Catalano, D'Argenio, Lo Cicerone). Negli anni successivi, utilizzando il lavoro di tesi "Il travertino di Alcamo" (1997 G. Culmone) e i successivi dati paleontologici raccolti dal Museo Geologico GG Gemmellaro di Palermo, fu compilata la forma proposta da Ispra, affinché la "Cava Cappuccini " è stato ufficialmente inserito nel censimento nazionale dei geositi italiani. Contestualmente è stata elaborata da istituzioni scientifiche, associazioni e appassionati una prima lista di siti con dati raccolti in tutta la Sicilia. L'Assessorato Regionale Territorio e Ambiente, che in virtù dell'autonomia regionale si occupa di tutela ambientale (Riserve Naturali, Parchi Regionali, Siti Natura 2000) ha iniziato a redigere un primo censimento ad uso esclusivo degli uffici; questo lavoro di raccolta dati è servito a porre le basi per la Legge Regionale che ha riconosciuto lo status giuridico dei geositi in Sicilia. Infatti, con la LR 11 aprile 2012, n. 25, “Norme per il riconoscimento, la catalogazione e la tutela dei Geositi in Sicilia” e il successivo Decreto Consigliere ARTA n. 87/2012 ha individuato i primi siti e le relative linee guida per “la gestione del Catalogo Regionale dei Geositi” indicando le modalità per la costituzione del Geosito unico finalizzate sia alla prevenzione del degrado del Patrimonio Geologico che alla valorizzazione del patrimonio geologico attraverso la divulgazione e la sua fruizione. Più recentemente sono state approvate le “Procedure per l'istituzione e le regole di tutela e protezione dei Geositi della Sicilia”. Si tratta di direttive relative alla fruizione dell'area del Geosito, in cui vengono delineate le attività vietate e quelle praticabili sia nel Geosito in senso stretto che nella sua fascia di rispetto, oltre a definire la procedura per l'ente. Grazie ai precedenti studi condotti dal personale del Museo Geologico Gemmellaro guidato dal curatore Enzo Burgio e al ritrovamento di numerosi resti fossili, nel 2006 è stato pubblicato al n° 7 il volume della collana «I quaderni di palazzo Montalto», Il travertino di Alcamo - Proposta per la costituzione di un geosito”, finalizzata proprio a sensibilizzare l'opinione pubblica sui temi della tutela del patrimonio geologico siciliano. A seguito di ciò, il Ministero dell'Ambiente, tramite ISPRA sul modulo compilato e proposto dal sottoscritto , aveva già inserito il geosito delle ex cave Cappuccini nell'elenco ufficiale dei geositi italiani.Con la legge regionale 25/2012 e le norme attuative, con il decreto 1 Figura 1. Il prof.Giuliano Ruggeri, il dott.Enzo Burgio e l'allora studente Girolamo Culmone durante uno dei primi sopralluoghi prima dell'inizio di una delle campagne di scavo Geologia ambientale • n. 1/2021 31

32 Figura 2. Campagna di scavo del museo “GG Gemmellaro” all'interno della terra rossa nel 1995. I risultati hanno permesso di ribaltare la tesi della presenza degli elefanti in Sicilia. Le due associazioni faunistiche in questo contesto stratigrafico hanno permesso di rivoluzionare le precedenti teorie sulla presenza di questi animali in Sicilia e sulla reale successione temporale. Eccezionale negli anni '80 è stata anche la scoperta nel bancone di travertino di una grande impronta di un carapace fossile attribuita a una tartaruga terrestre gigante e migliaia di impronte di uova in associazione con i resti fossili appartenenti a esemplari di elefanti nani. regalatomi da cavatori fin dagli anni novanta di eccezionale importanza è un calco cerebrale di un elefante nano. La zona di Cava Cappuccini è stata oggetto di un intervento alcuni anni fa da parte del comune di Alcamo, proprietario del terreno; Purtroppo il progetto di riqualificazione ha tenuto conto solo in parte della presenza del geosito che è stato quindi limitato ai soli muri di cava e ad una fascia di rispetto di 5 metri dalla base. L'area della cava era quasi interamente occupata da un edificio di oltre un migliaio Figura 3. Fossili di uova di tartaruga in situ Geologia dell'ambiente • n. 1/2021 mq con sovrastante scalinata a forma di anfiteatro, per ospitare spettacoli mentre la parte sottostante dovrebbe essere in futuro sede di un museo, struttura espositiva e laboratori di ricerca. L'intervento della soprintendenza ha richiesto la presenza di un paleontologo del sito grazie al quale sono stati recuperati numerosi altri reperti nello spostamento dei numerosi blocchi di rifiuti. Le campagne di scavo effettuate alla fine degli anni novanta hanno permesso di raccogliere ulteriore materiale tra le terre rosse che occupano le numerose fratture mentre nel corso di 2 mostre organizzate dal museo geologico GG Gemmellaro di Alcamo, numerosissimi erano gli ex cavatori che hanno donato altri pezzi raccolti negli anni e conservati come "curiosità"; anche con le impronte delle uova qualcuno ha creato anche un servizio di tazzine da caffè. Lo scavo del travertino che occupa gran parte del sottosuolo della città di Alcamo ha radici antiche, tanto che tutti gli edifici e/o monumenti di Figura 4. Sezione del cranio fossile di Elephas falconeri in situ a partire dal Medioevo sono realizzati in grossi blocchi squadrati di questo litotipo. BIBLIOGRAFIA Abate A., Agnesi V., Child A., Borfadeci R., Colletti F., Culmone G., Di Maggio C., Di Patti C., Minervini G., Nizza U., Oliva N., Pasta S., Scalone E., Truden B. (2006), Il travertino di Alcamo, Proposta per la costituzione di un Geosito, «Quaderni di palazzo Montalbo» n.7. Bommarito S., Bonnì RM, Cirese E., Di Pietro R., Sprovieri R. (1995), Carta Geologica “Alcamo” Foglio 606. Scala 1: 50.000, Dipartimento di Geologia e Geodesia dell'Università degli Studi di Palermo. Burgio E., Cani M. (1988), Sul ritrovamento di elefanti fossili ad Alcamo, «Naturalista sicil.», S IV, XII (3-4), pp. 87-97. Culmone G., Il travertino di Alcamo, Tesi AA 1996/1997. Cusumano A., Di Patti C. & Culmone G. (2015), Nuovi ritrovamenti di resti di vertebre nel travetino di Alcamo (TP), XV Edizione delle Giornate di Paleontologia, 27-29 maggio 2015, Volume delle sintesi. D'Argenio B., Ferreri V. (1988), Ambienti di deposizione e litofacies dei travertini quaternari nell'Italia centro-meridionale, «Mem. Soc. Geol. Esso. "41:861-868. GURS, LR 11 aprile 2012, n. 25, “Norme per il riconoscimento, la catalogazione e la protezione dei Geositi in Sicilia”. GURS, Decreto 1 dicembre 2015, “Istituzione del 'Travertino della Cava Cappuccini ' geosito, ricadente nel territorio comunale di Alcamo", Dipartimento del territorio e dell'ambiente. Mauz B., Renda P. (1996), Carta geologica della piana di Partinico e Castellammare del Golfo. Scala 1:25.000, Dipartimento di Geologia e Geodesia dell'Università degli Studi di Palermo.

Gioacchino Lena Viaggio geoarcheologico in Calabria Collana Scientia Antiquitatis, 2020, pp. 168 Rubbettino Editore, Storia, Archeologia, Università, Archeologia ISBN: 9788849864526 Il volume di Gioacchino Lena si apre con una riflessione semplice ma complessa, che racchiude oltre quarant'anni di esperienza sul campo e non solo: “Perché un libro di Geoarcheologia”. Ancora oggi si discute sul concetto di Geoarcheologia che da un lato associa il lavoro del geologo che opera nel campo dell'archeologia, dall'altro collega invece la ricerca archeologica all'utilizzo di concetti e metodi delle Scienze della Terra.A partire da quest'ultimo concetto, l'autore ci accompagna nel suo viaggio attraverso il paesaggio geoarcheologico della Calabria, sua terra d'adozione, ricostruendo i cambiamenti ambientali e climatici avvenuti durante Preistoria Prima tappa, lungo la costa ionica, con la Piana di Sibari e le sue caratteristiche ambientali e antropiche , per poi trasferirsi subito sui Monti Lacini e raggiungere Soverato con un focus sulla cava e sulla zona costiera. Il viaggio prosegue, con un balzo immaginario, dalla costa ionica a quella tirrenica, per essere catapultati nell'antica Hipponion-Vibo Valentia e sulle tracce dell'antico porto. L'itinerario prosegue con la peschiera romana di S. Irene a Tropea e si conclude con l'ultima tappa a Reggio Calabria tra alluvioni e calamità naturali in una città travagliata. Davide Mastroianni Vice Presidente Sigea Calabria

AVVISO DI PAGAMENTO QUOTA SOCIALE 2021 Il Consiglio Direttivo ha confermato anche per il 2021 la quota associativa di 30,00 da versare entro il 31 marzo con le seguenti modalità: • versamento su c/c postale n. 86235009 • bonifico bancario o postale, • codice IBAN: IT 87 N 07601 03200000086235009 (Banco Posta) intestato a: Società Italiana di Geologia Ambientale, Roma, riportando gli estremi del socio e la causale del versamento. Per aderire a Sigea è sufficiente compilare il modulo di iscrizione, scaricabile dal sito www.sigeaweb.it e versare la quota associativa. SOCIETÀ ITALIANA DI GEOLOGIA AMBIENTALE Sigea - Società Italiana di Geologia Ambientale, è un'associazione scientifica e culturale, senza fini di lucro, costituita nel maggio 1992 e riconosciuta dal Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare come "Associazione nazionale ambientale associazione di tutela" con decreto del 24 maggio 2007 (GU n. 127 del 4/6/2007). I membri di Sigea sono geologi, architetti, ingegneri, agronomi, forestali, archeologi, geografi e appassionati di geologia ambientale. La Sigea • Stampa e invia ai soci la rivista Geologia dell'Ambiente • Pubblica sul web e offre ulteriori documenti digitali della rivista Geologia dell'Ambiente, liberamente scaricabili • Favorisce l'avanzamento, la valorizzazione e la diffusione delle tematiche di tutela ambientale • Promuove il dialogo interdisciplinare e multisettoriale • Opera su tutto il territorio nazionale • Organizza attività educative, convegni, viaggi studio e campagne di sensibilizzazione per la sostenibilità dello sviluppo. Scansiona il QR code e scarica gratuitamente i supplementi digitali di Geologia Ambientale. Segui le nostre attività dal sito www.sigeaweb.it e dalla pagina Facebook Geologia dell'Ambiente 1/2020 Rivista trimestrale di SIGEA ISSN 1591-5352 Società Italiana di Geologia Ambientale Geologia dell'Ambiente 2/2020 Rivista trimestrale di SIGEA ISSN 1591 - 5352 Società Italiana di Geologia Ambientale Poste Italiane Spa - Spedizioni con abbonamento postale - DL 353/2003 (convertito in Legge 27/02/2004 n° 46) art. 1 comma 1 - DCB Roma Poste Italiane Spa - Spedizioni con Abbonamento Postale - DL 353/2003 (convertito in Legge 27/02/2004 n° 46) art. 1 comma 1 - DCB Roma Geologia Ambientale 3/2020 Periodico trimestrale di SIGEA ISSN 1591-5352 Società Italiana di Geologia Ambientale Geologia Ambientale 4/2020 Periodico trimestrale di SIGEA ISSN 1591-5352 Società Italiana di Geologia Ambientale Poste Italiane Spa - Spedizione con abbonamento postale - DL 353/2003 (convertito in Legge 27/02/2004 n° 46) art. 1 comma 1 - DCB Roma Poste Italiane Spa - Spedizioni con Abbonamento Postale - DL 353/2003 (convertito in Legge 27/02/2004 n° 46) art. 1 comma 1 - DCB Roma

A “Dottore” ne parliamo con il Dott. De Cunto, capo dei presidi di Villa d'Agri e Melfi

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