Governo Meloni: quei punti cruciali- Corriere.it

2022-10-15 03:27:53 By : Ms. Yanqin Zeng

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Le ultime notizie sul governo e l’elezione del presidente della Camera

Ha dato indicazioni sui tre punti cruciali per il futuro governo: la guerra all’Ucraina, la crisi energetica, la disciplina di bilancio. Su tutti e tre si potrebbe quasi dire che ha abbracciato l’agenda Draghi

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Gli italiani hanno deciso di dare fiducia a Giorgia Meloni, oppure si sono scoperti all’improvviso di estrema destra («far right», come scrive il Washington Post )? Ci aspettano tempi in orbace, o nel migliore dei casi alla Orbán? Oppure la nostra democrazia è abbastanza salda da consentire agli elettori di scegliersi il governo che vogliono senza rischiare salti nel buio o all’indietro nella storia?

Per rispondere a queste domande, che preoccupano molti italiani e appassionano la stampa estera, bisogna innanzitutto chiedersi chi sono gli elettori che hanno votato per la prima volta Giorgia Meloni (tanti, visto che quattro anni fa ottenne solo il 4,3%). Si tratta in gran parte, secondo le analisi dei flussi, di voti provenienti dalla Lega o dai Cinquestelle . Non si può neanche escludere che molti di loro abbiano votato prima ancora Renzi alle Europee del 2014 . Ognuno dei boom elettorali che ormai si ripetono in serie, per sgonfiarsi poi con altrettanta rapidità, porta il segno dello spostamento di una massa di voti da tempo e affannosamente in cerca di un salvatore della patria, di un demiurgo che possa farci uscire dalla spirale di declino in cui siamo avviluppati. Si tratta di italiani ormai svincolatisi da ogni condizionamento ideologico, disincantati e disaffezionati , politicamente disinibiti, non esattamente di destra né propriamente di sinistra. Spesso li abbiamo definiti «populisti», anche se il popolo per definizione non può essere populista.

Finora questi sbandamenti hanno prodotto, più che pericoli per la democrazia o tentazioni autoritarie, caos e instabilità politica. In due elezioni di seguito, il 2013 e il 2018, le urne non hanno dato la maggioranza a nessuna coalizione elettorale ; e dunque ne sono derivati, negli ultimi dieci anni, governi frutto di accordi parlamentari, spesso guidati da personalità che non avevano neanche partecipato alle elezioni.

Per quanto si tratti di un’utile valvola di sicurezza del nostro regime parlamentare, perché capace di evitare vuoti di potere quando il sistema si inceppa, è chiaro che una democrazia è più solida se il circuito elettori-Parlamento funziona, e dà vita a maggioranze baciate dal consenso nelle urne . Dunque, da questo punto di vista, non si può dire che l’esito delle elezioni di domenica configuri una regressione. Anzi. La leader dell’opposizione ha vinto e andrà al governo. Qualcuno ha scritto che a questo serve la democrazia: ricambio di classi dirigenti senza spargimento di sangue.

Un secondo ordine di problemi, e di allarmi, derivano dalla personalità e dalla storia politica della vincitrice. Chiaramente di destra ; anzi, di una destra di derivazione missina, nazionalista e nativista. Secondo uno studio della Luiss, sommando i voti di Meloni a quelli di Salvini si ottiene la migliore performance elettorale della destra nella storia dell’Europa occidentale. È dunque comprensibile la preoccupazione di Paesi nostri partner i cui governi si battono quotidianamente a casa loro per evitare questo stesso esito. E altrettanto sicuramente la probabile futura premier ha il dovere di sciogliere un grumo di ostilità che altrimenti danneggerebbe l’Italia, oltre che lei stessa.

Si può dire che Giorgia Meloni ne sia consapevole? Alcuni indizi ci dicono di sì. Non si tratta solo della promessa di «governare per tutti», di «unire l’Italia», pronunciata dopo il successo. Già in campagna elettorale la sua parola-chiave è stata «responsabilità» . Ha dato indicazioni sui tre punti cruciali per il futuro governo: la guerra all’Ucraina, la crisi energetica, la disciplina di bilancio. Su tutti e tre si potrebbe quasi dire che ha abbracciato l’agenda Draghi, sostenendo pur dall’opposizione il governo sia sulle sanzioni alla Russia e sulle armi all’Ucraina, sia nella battaglia in Europa per il tetto al prezzo del gas, sia nella contrarietà a scostamenti affrettati di bilancio. Ora ha un mandato chiaro per tenere su questi tre punti. E per confermare la prudenza con cui ha finora moderato le proposte elettorali più esplosive per il bilancio pubblico avanzate dagli alleati (basti pensare alla flat tax) .

Naturalmente la prova del budino sta nel mangiarlo. Il difficile per Giorgia Meloni comincia ora . Non ha quasi nessuna esperienza di governo, né ce l’ha la classe dirigente di un partito abituato (o costretto) da tempo all’opposizione. Il suo stesso atlantismo non è certo accompagnato da un altrettanto solido europeismo. Dovrà capire presto che Bruxelles è più vicina a noi di Washington, e che Berlino e Parigi sono alleati preziosi, certo più di Varsavia e Budapest .

Ma il relativo successo elettorale di Berlusconi, che può così intestarsi la rappresentanza dei moderati nella futura maggioranza, e l’indiscutibile sconfitta di Salvini , che riduce drasticamente per lui o per il suo successore gli spazi di manovra, le dovrebbero garantire una finestra di opportunità di un anno o due, in cui mostrare di saper prendere in mano le redini del governo e di individuare il reale interesse nazionale dell’Italia.

Resta infine la delicata questione dei diritti e delle libertà, che è bene non sottovalutare . In tutto il mondo, e anche in Europa, si assiste a tentativi di limitare entrambi. La destra italiana è certamente tradizionalista e conservatrice in materie come la famiglia, l’aborto, la maternità, il genere. Ma mentre qui siamo nel campo delle legittime opzioni politiche, ogni speranza di tornare indietro sulle conquiste civili di un Paese moderno e libero come il nostro sarebbe così mal riposta da far credere che un leader accorto non ci provi nemmeno. Altra questione è l’eventuale ampliamento della sfera dei cosiddetti diritti: sul quale si esprimerà sovranamente il Parlamento, secondo il gioco classico della dialettica e del confronto.

Con tutto il rispetto per la premier francese, Elizabeth Borne, che vuole «vigilare» su questi temi, crediamo dunque di poter dire che l’Italia è in grado di vigilare da sola. La nostra è una democrazia talvolta pasticciona ma solida, e disponiamo di tutte le garanzie di uno stato di diritto : un Parlamento libero in cui agiranno tre diversi e agguerriti gruppi di opposizione, un presidente della Repubblica che garantisce il rispetto dei Trattati e delle convenzioni internazionali, un giudice delle leggi che ne verifica la costituzionalità, un vivace dibattito pubblico e un sistema dei media attivo e pluralista.

Ciò nonostante viviamo ormai, come del resto tutti gli altri Paesi, in un’arena pubblica paneuropea. Gli altri ci giudicano come noi giudichiamo gli altri . Conviene a tutti che quel giudizio sia, o diventi, positivo.

26 settembre 2022, 22:32 - modifica il 26 settembre 2022 | 22:33

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