Tour TransAlp, un’esperienza vissuta da dentro e oltre il risultato | Cyclinside.it

2022-09-10 00:18:16 By : Ms. JIll Wang

Abbiamo vissuto, pedalato e sudato la Tour TransAlp edizione 2022 (versione stradale) per raccontarvi cosa si prova a vivere questo evento, unico nel suo genere, dall’interno di cui tanto abbiamo sentito parlare. Unico soprattutto perché la competizione si corre in coppia, il tempo del compagno “più lento” conta per le classifiche e questa formula regala delle emozioni forti, provare per credere. Se non si ha un compagno/a si puo’ anche partecipare come individuale, per cui tutti trovano il proprio spazio.

La TransAlp parte da A e arriva a B. Il giorno successivo si parte da B e si arriva a C e così via fino all’ultima tappa che fa capolino come ogni anno ad Arco di Trento. La “grande partenza” e tutte le tappe successive cambiano annualmente ma l’arrivo è sempre nella deliziosa cittadina del lago di Garda. Quest’anno la partenza è stata data davanti al pittoresco campanile della chiesa sommersa nel lago di Resia, e dopo 7 tappe, 617 km e 15.800 metri di dislivello, si è giunti ad Arco. Tantissime salite, ovviamente, lungo il percorso, tra le quali il Passo del Fuorn, lo Stelvio da Prato, il Foscagno, il Passo d’Eira, il Mortirolo da Mazzo, il Santa Cristina, il Passo Vivione, la Presolana, il Croce Domini, Passo Daone e il Passo Duron. Abbastanza per stuzzicare il palato dei camosci del gruppo.

Come funziona a livello logistico la TransAlp? Pensano a, quasi, tutto loro. Alla partenza si riceve una enorme sacca e uno zaino con sopra il proprio numero di gara. Tutto quello che si vuole avere durante questa settimana DEVE stare dentro la sacca. Ogni mattina si la si porta al camion dell’organizzazione giusto prima di recarsi in griglia e gli addetti provvederanno a portare tutto nella località di arrivo e cosi’ via, ogni giorno. Per dormire si può scegliere di alloggiare nelle sale/scuole/palestre messe a disposizione oppure di riposare in un più confortevole albergo. Lo zaino lo si usa per dare all’organizzazione una mantellina o una giacca pesante da avere subito dopo l’arrivo, molto utile specialmente se l’arrivo è in cima allo Stelvio e l’hotel è a Bormio.

Ogni mattina le operazioni della partenza si svolgevano in molto fluido: i primi 70 assoluti partono in “griglia”, tutti gli altri dietro. All’arrivo c’era sempre un ottimo rinfresco con piatti caldi e freddi. Per la cena i concorrenti devono arrangiarsi ma l’organizzazione aveva fornito dei “buoni pasto” da utilizzare nei ristoranti convenzionati nelle diverse sedi di tappa.

Esiste ancora una formula diversa, quella a cui noi ci siamo appoggiati: il supporto di Prostyle World (https://www.prostyle-world.de). Se si sceglie la Prostyle allora si entra in un mondo completamente diverso, un po’ come la pillola rossa o la pillola blu di Matrix. Chi ne ha la possibilità, perché non è gratis ovviamente, e vuole sentirsi professionista per una settimana, è un’occasione da non perdere con ben 6 addetti della Prostyle (per 20 partecipanti da tutto il mondo), sembrava di essere al Tour de France!

Ecco come si svolgeva la giornata tipo made in Prostyle alla TransAlp:

Una bella avventura anche dal punto di vista sportivo. Per l’occasione i “nostri” di Cyclinside hanno potuto indossare l’abbigliamento tecnico di Giessegi con i nostri colori. Nostante alcuni problemi alla vigilia, siamo riusciti a testare alcuni prodotti come le scarpe Lake CX403, le cassette e camere d’aria ultraleggere della E.dubied (ditta figlia della Edco) e i ben conosciuti copertoncini Vittoria Corsa Graphene.

I nostri programmi, in realtà, sono stati un po’ stravolti all’ultimo. Per problemi di salute di uno dei partecipanti non ha potuto prendere il via, così abbiamo dovuto optare per due partecipazioni individuali con i belgi Stijn Van der Jeught e Louis Clincke (altleta disabile e punta della nazionale belgadi ciclismo). Stijn ha tenuto altissimo l’onore della redazione chiudendo al 6° posto assoluto e 4° di categoria (-40) con un bellissimo podio nella tappa del Livigno-Aprica con il Mortirolo in mezzo. Di seguito trovate il suo racconto.

Per conto nostro possiamo darvi suolo un consiglio: se amate il ciclismo di alta montagna, mettete prima o poi nella vostra agenda questa avventura. Una settimana del genere non è come andare a fare una granfondo, i ricordi verranno tatuati nella vostra memoria e ve li porterete sempre con voi, parola d’onore.

Per maggiori informazioni: https://tour-transalp.de/en

‘Tour TransAlp!’ Risuonava forte attraverso le casse acustiche al via. Max Schneider, boss della Trans Alp è stato intervistato dallo speaker poco prima dell’inizio della prima tappa sul Lago di Resia. Come me altri centinaia di appassionati gremiti stavano aspettando con impazienza questo momento. Sentivo una sana tensione ma non ero troppo nervoso. Ero pronto, nelle ultime due settimane stavo diventando impaziente a dire il vero. Ho letteralmente contato i giorni. Naturalmente ho preso il classico raffreddore pochi giorni prima di mettermi in viaggio.

Ho spinto il mio corpo al massimo, la combinazione di duri allenamenti insieme a un’attenzione piuttosto estrema al mio cibo aveva pagato pegno. Questo raffreddore ha continuato a perseguitarmi per l’intero evento. Non chiedetemi perché, ma volevo arrivare sotto i 68 kg a tutti i costi. Il mio peso normale oscilla intorno ai 70 kg, non è un compito impossibile, ma si è rivelato non evidente. L’ultima pesata prima della gara ha detto 67,5 chilogrammi: pronto. È così che ho cercato di aumentare il mio rapporto peso/potenza. Dati i molti metri di dislivello della TransAlp, perdere peso era ovviamente il modo più logico visto che in termini di watt ormai con gli anni sapevo dove erano i miei limiti.

La partenza della prima tappa è stata molto tranquilla in quanto i primi dieci chilometri sono stati neutralizzati. Qualcosa che sperimenteremo più volte durante la settimana. La neutralizzazione era necessaria perché il passaggio intorno al lago era troppo stretto e troppo pericoloso per lasciare che centinaia di persone partissero nello stesso momento con la stessa idea: stare davanti. Una volta lasciata la neutralizzazione alle spalle il ritmo è salito alle stelle. Ho abbastanza esperienza in gruppo per tenermi ben posizionato. La successiva discesa è stata furiosa, in seguito si è scoperto che molti hanno dovuto staccarsi già in quel momento. Fortunatamente me la cavo abbastanza bene in discesa tanto da essere riuscito a mantenermi in prima fila. Capacità che, per inciso, sarebbero state messe alla prova più volte durante la settimana.

Con un gruppo relativamente grande, siamo andati verso la prima salita: breve ma brutale, ben due chilometri al 9 per cento fatti a blocco. Due corridori si sono avvantaggiati di una decina di secondi ed io, al gancio, seguivo insieme a un altro paio di partecipanti. Ero a tutta ma c’ero. Purtroppo, subito dopo la vetta, anche la sfortuna ha voluto manifestarsi: la ruota anteriore si è afflosciata a causa della rottura della valvola. Delusione totale. Dopo circa 10 minuti riparto. Avrei potuto fare più velocemente ma avevo paura di pizzicare la nuova camera e ho fatto la sostituzione con la dovuta calma.

Per il resto della tappa ho cercato di recuperare il più possibile senza forzarmi. Il giorno successivo c’era lo Stelvio in programma, meglio spendere le energie sulle sue pendenze dove molti minuti sono in gioco. Sono arrivato al 43° posto assoluto e probabilmente senza la foratura avrei terminato nella top-10. Un pensiero che mi ha dato di nuovo un po’ di morale in vista delle tappe successive.

La seconda tappa è iniziata con una salita e una discesa nuovamente neutralizzate a causa di lavori in corso. Questo è stato seguito da un breve strappo e una lunga discesa fino a fondovalle. La breve salita è stata di nuovo affrontata con gas aperto ma sono riuscito a tenermi davanti, ma la successiva discesa mi ha aperto gli occhi.

Mi sono lanciato nelle prime curve in testa. Il mio ritmo era alto, ma prima del primo tornante una coppia mi ha superato. I due, con la loro loro maglia di leader gialla, si sono letteralmente buttati giù a “tomba aperta”. Sulla loro scia un altro corridore. Ho provato a seguire ma ho dovuto rendermi conto dopo poche curve che il loro ritmo era troppo alto. Ho iniziato a pensare che avevo una famiglia a casa che voleva rivedermi tutto d’un pezzo. A fine discesa i tre kamikaze erano ormai circa un minuto davanti a noi e visto che il nostro ritmo non era elevato, ho deciso di anticipare. Su un breve pezzo in pendenza ho spinto in modo deciso. Speravo di avere qualche compagno di avventura con me ma tutti cercavano di risparmiarsi in vista dello Stelvio. Non mi sono scoraggiato e ho perseverato, ho cercato di tenere ritmo uniforme e di prendermi più vantaggio possibile senza forzare davvero. Le gambe giravano che era un piacere. È così che ho iniziato lo Stelvio, come secondo delle classifica “solo”. Anche in salita ho cercato di sviluppare un bel ritmo in salita intorno ai 300watt, tenendomi un po’ di margine. Dopo una decina di chilometri, nelle vicinanze di Trafoi, quando un gruppo di una decina di corridori mi ha superato, ho provato ad attaccarmi ma ho sentito velocemente che il loro ritmo era troppo alto per me. Dovevamo ancora salire più di tredici chilometri con una percentuale media dell’8,5 per cento, così ho scelto di andare avanti con il mio ritmo fino in cima, riuscendoci. La linea di arrivo era dopo tre chilometri di discesa, il resto della discesa verso Bormio è stato, comprensibilmente, neutralizzata.

Dopo il tappetino del cronometraggi mi sono fermato un attimo. È stato anche il primo vero momento in cui ho potuto godermi il paesaggio, impressionante. È ovviamente un cliché, ma durante la sofferenza ci si concentra solo sulla propria ruota anteriore o su una ruota posteriore. Di tanto in tanto il tuo sguardo si spinge un po’ più in là, solo per rispondere alla domanda interiore “quando finirà?”

Ogni giorno ho rosicchiato qualcosa del mio distacco nella classifica generale. Il quarto giorno, era in programma il temuto Mortirolo. Per la prima volta le previsioni del tempo erano sfavorevoli. Ci si aspettava che avrebbe iniziato a piovere un’ora dopo la partenza. Da Livigno è subito salita per quattro chilometri, seguita da una breve discesa seguita da un’altra salita di circa quattro chilometri. Dopo c’era una lunghissima discesa, un pezzo di valle e poi la Bestia che ci aspettava: più di dieci chilometri con una percentuale media dell’11 per cento. Dato che i primi tre della classifica in salita erano molto migliori di me, ho deciso di anticipare, di nuovo. Volevo provare a salire sul podio del giorno almeno per una volta. Pedalare con il gruppo di testa fino ai piedi del Mortirolo non avrebbe portato ad alcun successo e allora ho deciso di attaccare presto, chiunque mi conosca sa che questa è una seconda natura per me.

Un forte kazako ha accelerato subito dopo il via, il suo ritmo era, come sempre, molto alto. Il leader italiano della classifica Master ha contrattaccato ed io l’ho seguito. Il gruppo ci ha lasciato andare. Salivamo forte ma vedevamo il kazako diventare sempre più piccolo. Mi sentivo forte, quando tiravo io, l’italiano ansimava sempre più forte. Qualcosa che si vuole sentire se si sale con qualcuno a ruota. In vetta ho visto l’amico Wanty-pro Dimitri Claeys in piedi. L’ho salutato con un sospirato: “Ciao Dimi”. Ha sorriso e risposto al saluto senza sapere che quello era il “mio” giorno.

Nella discesa, le prime gocce hanno cominciato a cadere. Il sorriso sul mio viso stava diventando sempre più grande. Sulla salita successiva abbiamo continuato con il nostro ritmo, mentre la pioggia ha iniziato a cadere sempre più forte. Poco più di un chilometro prima della vetta ho visto un gruppo di una trentina di corridori avvicinarsi. Proprio come le il cielo, ho aperto anch’io il mio “rubinetto” del gas. Più di 400w ha segnava il powermeter, l’italiano apparentemente mi seguiva senza sforzo nonostante il suo gemito raggiungesse un volume quasi ridicolo. Volevo affrontare a tutti i costi la lunga discesa bagnata del Foscagno prima del gruppo, in modo da non permettere il ricongiungimento. Tuttavia, poco prima che il Leader della mia categoria (sotto i 40 anni), l’inavvicinabile Kenny Nijssen si è accodato. Sulla sua scia anche il numero due della classifica, un altro italiano: Lorenzini. Non una bella notizia per il mio piano per il podio. Con il kazako ancora davanti, Nijssen e Lorenzini rischiavo di finire di nuovo al 4° posto, nel migliore delle ipotesi.

Ho cercato di non lasciarmi scoraggiare. Nella discesa sul bagnato ho avuto subito il buon feeling con le Vittoria Corsa Graphene. Avevo deliberatamente dato loro mezzo bar in meno, pianificando la pioggia. Immediatamente mi sono reso conto che Lorenzini aveva paura. Senza davvero andare oltre il limite, ho aumentato la pressione. Non poco dopo, ha dovuto mollare, mentre Kenny e l’altro italiano sono rimasti con me. Davanti avevamo ancora il kazako solitario. Nijssen aveva più o meno lo stesso tempo in generale di Lorenzini allora aveva tutto l’interesse di spingere il più forte possibile. Avevo un alleato ideale mentre il Leader italiano dei Master, avendo meno stimoli è stato molto più parsimonioso nei suoi cambi in testa. Negli ultimi chilometri della discesa, “gli uomini gialli”, i Leaders della TransAlp a coppie ci hanno superato. Il duo è sceso nuovamente in modo assurdo. Quindi li abbiamo lasciati andare mentre continuavano a tagliare le curve cieche come se il percorso fosse privo di traffico, cosa che non era. Nella valle li abbiamo presto rimessi nel mirino. Nel frattempo, la pioggia continuava a riversarsi incessantemente. Kenny ed io abbiamo fatto la parte del leone del lavoro e in pochissimo tempo eravamo ai piedi del Mortirolo. Di seguire Kenny in salita, non ci ho pensato nemmeno un attimo. Con i suoi 52 chilogrammi, ho letteralmente combattuto in una classe di peso diversa. Il mio obiettivo era chiaro e mi bastava non “parcheggiare” sul Mortirolo e probabilmente il podio di tappa sarebbe stato possibile.

Il Master italiano mi ha messo subito sotto pressione. Sui primi metri ripidi ho dovuto lasciare una decina di metri. Questa salita era per me un territorio completamente inesplorato. La cosa più sbagliata che potevo fare era andare subito in rosso su questa mostruosa salita. Stavo cercando il mio ritmo, sulle parti ancora più ripide le gambe non si sentivano affatto vuote. Ben presto sono tornato sulla scia dell’italiano, non molto tempo dopo l’ho sentito “crepare”. In questi momenti non dovresti nemmeno guardarti dietro, lo senti e basta. Le ore fatte di Core-training di quest’inverno avevano dato i loro frutti (grazie Anthony!) e potevo continuare a stare in piedi sui pedali, la parte bassa della schiena reggeva senza problemi. La vista del powermeter mi sollevava il morale. Per gli appassionati di numeri: ho scalato la bestia in 58 minuti con una potenza media di 329 watt. La perenne sensazione di fame prima di dormire e i tanti allenamenti avevano tirato fuori il meglio dello scalatore in me.

In cima avevo circa trenta secondi di vantaggio. Non siamo subito scesi dal Mortirolo ma siamo rimasti su un altopiano per un po’ con tante curve e saliscendi. Ho tenuto un buon ritmo, ma il tenace italiano si è rifatto sotto. Non rappresentava un grosso problema, nella classifica di giornata non avrebbe minacciato il mio podio, appartenendo a un’altra categoria. Abbiamo continuato a lavorare bene insieme e dopo una lunga e abbastanza tecnica discesa siamo riusciti a raggiungere il traguardo indenni. Ho sentito le mie emozioni prendere il sopravvento, le mie narici hanno iniziato a pungere. C’ero riuscito, un abitante dei polder (zona pianeggiante dei Paesi Bassi, ndr) che è arrivato a podio in una tappa con una delle salite più dure d’Europa. Super orgoglioso!

Dopo la mia incursione sul podio nella quarta tappa sono arrivato quarto altre due volte. Per l’ultima tappa era chiaro che non potevo più perdere il mio quarto posto nella classifica generale, così come salire sul podio era impossibile ormai. A meno di qualche sfortuna altrui. L’ultima tappa è iniziata con circa cinque chilometri al 10 per cento. Avevo intenzione di dare tutto ciò che era rimasto nel serbatoio, ma non sono riuscito a tenere il passo dei tre scalatori più forti. Ho cercato di mantenere un ritmo uniforme per l’ultima parte della tappa e ho anche cercato di godermi ancora di più questa TransAlp. Sono arrivato settimo di giornata ma sono riuscito a mantenere il mio quarto posto senza problemi. L’ultima, neutralizzata, discesa al Lago di Garda è stata puro piacere. Era finita.

Ho conosciuto persone fantastiche e affascinanti all’interno del gruppo Prostyle. Finalmente ho avuto la possibilità di condividere tutto questo con un compagno di squadra che posso chiamare amico ancora più di prima. Certe esperienza vanno oltre l’agonismo stesso. Si cresce un po’. E la soddisfazione, al di là del risultato, è davvero grande.

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